Dettagli Recensione
Fenomenologia della settimana
“Il resto della settimana” è quello che intercorre tra una partita di campionato e quella successiva (“L’importante è quello che succede da subito dopo a subito prima”) nel romanzo in cui Maurizio De Giovanni dichiara a chiare lettere la sua passione per il calcio-Napoli.
In un bar-bugigattolo, tra riti, abitudini e passaggi occasionali di avventori, un professore in pensione decide di approfondire gli aspetti sociali e psicologici di un fenomeno individuale e collettivo che si celebra settimanalmente (Venerdì: “Il Professore aveva ormai le idee in corso di veloce chiarimento…. La comune convinzione, il senso di appartenenza, la vicinanza e perfino la mitologia condivisa. Una malattia forse…. Ma pur sempre un elemento fortemente identitario”).
Peppe, che gestisce il bar con l’ausilio di due collaboratori-macchiette, Deborah e Ciccillo (“Ciccillo… un colibrì ripreso da National Geographic in slow motion”), fornisce al professore le occasioni per apprendere storie (come quella dello scienziato che rinuncia alla sua carriera di ricercatore per portare il padre morente a una partita di coppa) ed episodi (su tutti: la vittoria dell’Argentina sull’Inghilterra grazie al goal segnato da Maradona con “la mano di Dio”) nei quali il calcio è l’elemento centrale.
Ruota così una girandola di situazioni, racconti e ricordi grazie ai quali il creatore del commissario Ricciardi rappresenta vizi (“Scooter dal parcheggio impressionistico”) e virtù della sua città, ridicolizzando abitudini (“Il famigerato Parcheggiatore Abusivo. Si tratta di una via di mezzo tra un grande coreografo e un enigmista abilissimo”), manie (“Sul muro del cimitero di Poggioreale: CHE VI SIETE PERSI!”), scaramanzie (“Un Coso triangolare e tricolore, nostro finalmente, ma che non avevamo il coraggio di nominare”) ed eccessi (“Turpiloquio a sfondo religioso”) della tifoseria (“L’elogio dei distinti”), ironizzando sulle pantomime giornalistiche che nei programmi-contenitore domenicali (“La canzone, dal titolo La gatta in calore, conteneva espliciti riferimenti sessuali che in bocca a una donna di quell’età erano particolarmente osceni”) dalle improbabili conduzioni (“Titty Love - D’Amore Maria Concetta, al secolo - molto decorativa ma completamente priva di qualsiasi attività cerebrale… scarpe lucide rosse, con un tacco tale da poter essere registrate come armi da punta”) hanno l’apoteosi (“Complimentandosi per il suo aspetto sorprendentemente giovanile e dicendo a tutti in questo modo che era una vecchia carampana”)…
Il tutto avviene narrando le gesta di un gruppo di amici (“Luigi brillava di luce propria, tanto era pallido”), dei quali viene ricordata l’epica trasferta a Torino (nella memorabile, non per me, partita del 9/11/86) contro l’odiata Juventus e rievocando alcune partite nelle quali risalta la figura di un sovrano indiscusso: lui, l’argentino, il capitano innominabile che ha fatto sognare un’intera città.
Non sopporto il mondo del calcio (pur trovandolo moderato, condivido il pensiero di Mario: “A me del calcio non me ne frega niente, ma se mai un sentimento è stato contagioso contagioso era quello”) e i suoi protagonisti, idolatrati (“L’umanità così si divide: ci sta chi le cose le fa, e chi le guarda fare”) per il fatto di saper armeggiare una palla con i piedi; ritengo che negli stadi si consumi una grande quantità di “oppio dei popoli” e non aggiungo altro.
Nonostante questa mia avversione e prevenzione, il romanzo mi ha strappato qualche sorriso e Maurizio De Giovanni dimostra abilità narrative e umorismo che gli consentono di affrontare anche argomenti che normalmente sono il ricettacolo di luoghi comuni e banalità (“E quando mai si è vista l’età sulla carta d’identità? L’età è quella che uno si sente”).
Bruno Elpis