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Voci dalla Suburra
“Addio Monti”, titolo evocativo e suggestivo che rimanda, però, a quanto di più lontano possiamo immaginare dal contenuto di questo romanzo d’esordio del giornalista Michele Masneri, bresciano di nascita e capitolino d’adozione.
I “Monti” del titolo, sono quelli di uno dei più antichi e noti quartieri di Roma: rione Monti. E’ l’antica Suburra menzionata già da Orazio, informe agglomerato urbano della Roma imperiale, che ha attraversato i secoli rimanendo uguale a sé stesso. Terra di prostitute e balordi, un buco nero dentro la città antica, degradato e ignorato dai più fino a pochi anni fa e che oggi, invece, supera Trastevere (ormai alla deriva, declassato a terra di conquista del turismo notturno più aggressivo e alcolico) e diventa nuovo oggetto del desiderio nell’ immaginario della rampante classe radical (finto)-chic romana e non.
Giornalismo, cultura, imprenditoria, spettacolo, un circo policromo di cui si narrano personaggi e figuranti, fotografati con perfida ironia nell’ atto estremo dell’offerta di sé, attraverso complicati riti di cui l’autore illustra, con spassosa precisione, tutti i passaggi.
Il libro, sebbene più lieve e frizzante, potrebbe essere l’omologo letterario del film premio Oscar di Sorrentino (benché scritto in tempi non sospetti), perché sempre di Roma si parla e sempre ne esce un ritratto feroce e impietoso della città, di una certa sua fauna che ne abita misteriosi anfratti.
Bandito dagli inarrivabili quartieri vip di Roma Nord, escluso dalla vera, inaccessibile high society dall’ allure più chic , questo “ceto riflessivo” si propone in un ambiente più basso, un tessuto sociale molle, cedevole, una buona società de noantri ,che è un coacervo di opachi individui che smaniano in cerca di una fetta di visibilità, all’ arrembaggio di una remota possibilità di scalata sociale.
Un romanzo contemporaneo in cui l’alternarsi delle voci narrative, ad un ritmo rapidissimo, dà luogo ad una prosa originale, che è l’elemento del libro più interessante. Un canone linguistico che mescola con abilità romanesco, linguaggi settoriali, slang metropolitano, che si modella, plastico, sulla psicologia dei personaggi. Qualcuno ha fatto riferimento alla prosa di Arbasino. Certo è che riuscire a seguire il ritmo forsennato dei dialoghi è quasi un’impresa!
La storia si svolge tutta dentro un supermercato (“la pregiatissima Sma dell’Amba Aradam”), uno dei rarissimi del centro storico di Roma, due amici, un giovane gigolò, che è anche ghost writer (voce narrante che resta senza nome) e una giornalista un po’ depressa (Gloria), si incontrano per caso, si scambiano confidenze e si raccontano gli ultimi gossip. Saranno loro a portarci fuori da lì, a tracciare per noi la geografia di riferimento per questo nuovo ceto sfacciato e cafonal che si aggira tra Cortina e Favignana ma non disdegna, all ’occorrenza, le spiagge di “Cape Cod” (Capocotta nel popolare litorale di Roma sud) o Santa Marinella (altrettanto popolare, ma a nord della capitale), sempre, però, con il corredo giusto: abiti costosi e finto-sgualciti, BlackBerry (vintage, più cool e meglio dell’i-phone), Adelphi che spuntano dalle borse (di tela) insieme a Limes o Micromega e a inserti culturali dei vari quotidiani opportunamente spiegazzati.
Lo sguardo sornione dell’autore si posa disincantato su questo universo: giornalisti free-lance, scrittori con poco talento e molte ambizioni, attori di fiction di seconda e terza categoria, dame della nobiltà capitolina cadute in disgrazia, sciure del nord-est con tanti soldi e poca grazia, tutti alla ricerca spasmodica dell’evento, della serata giusta, della mostra o del concerto imperdibili.
Poi ,dal magma indistinto, emergono, sempre portate a galla dalla chiacchiera infinita nel supermercato, delle sagome che svettano sulle altre e il romanzo racconta alcune brevi, grottesche storie. Un immobiliarista senza scrupoli che, sfruttando i luoghi letterari pasoliniani, vende ad ingenui acquirenti col mito neorealista, presunti “loft” in quartieri degradati gentrificati, un talentuoso giornalista economico sfinito dalla smania di denaro e che ormai scrive solo marchette, un presentatore tv che sbaglia battuta, finisce nel fango, ma poi risorge dalle sue ceneri. Figure dimenticabili, ma che danno l’idea di cosa sia un certo ambiente della nostra società.
La trama, abbastanza evanescente, (ma non era sulla storia che l’autore voleva concentrarsi) è, dunque, un’infinita conversazione, che attraversa modi e luoghi di questo ceto mutevole e fluttuante, inframmezzata dalle esilaranti pause in cui Gloria è alla ricerca della sua spesa, anch’ essa adeguata ai canoni del ceto d’appartenenza (kamut, tofu, polpettine di alghe bio, ecc) e durante le quali i due protagonisti, fermi davanti alle casse, osservano pensosi il microcosmo che li circonda (“…middle class, cassiere isteriche, dentiere impiegatizie digrignanti, non c’è traccia di quel dominio dei sensi che era un tempo questa Sma, punta di diamante della Grande Distribuzione Romana”).
Un romanzo irriverente e feroce, che diverte e fa riflettere, ritratto spietato e tagliente di un’epoca di cui tutti, un po’, facciamo parte e condividiamo le pene.
Una curiosità: l’editor del romanzo è un certo Nicola Lagioia che, mi pare, abbia vinto un certo premio di recente, con un romanzo che sembra ricalcare, spostando appena le coordinate geografiche e inserendo abilmente l’elemento noir, l’ indagine di costume del libro recensito.
Interessanti incroci letterari.
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Commenti
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Il romanzo a me è piaciuto molto, credo che l'autore sia davvero un fine osservatore della cronaca di costume, ironico e tagliente (gli articoli che scrive per quotidiani e settimanali sono irresistibili!) . Semplicemente, pur ispirandosi senza dubbio ad Arbasino, ha avuto la necessità di aggiornare lessico, luoghi e personaggi e ci è riuscito, oltretutto ambientando la storia in una città che non è la sua, eppure appropriandosi con abilità di modi e tempi della "romanità" odierna.
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