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Il mare lontano da noi
 
Il mare lontano da noi 2015-07-09 08:46:25 Mian88
Voto medio 
 
4.0
Stile 
 
3.0
Contenuto 
 
5.0
Piacevolezza 
 
4.0
Mian88 Opinione inserita da Mian88    09 Luglio, 2015
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L'Italia oggi. Scelte di vita, opinioni a confront

Serena è madre ma anche ricercatrice; è donna in carriera così come moglie. Laureata a pieni voti in storia, la sua più grande passione, ha iniziato il Dottorato di ricerca e da oltre tre anni lavora presso l’Università “La Sapienza” di Roma in attesa che quel contratto che la bolla quale precaria, che la rende schiava dell’ansia e di riflessioni su quel che “il bel paese” è ancora in grado di offrire a coloro che rappresentano il suo futuro, diventi una certezza; che questa consista in un posto fisso o in un assegno di ricerca da sfruttare per portare avanti il suo lavoro e la sua brama di sapere non importa, qualunque di questa alternativa le va bene ed è in grado di ripagarla degli sforzi fatti, quel che conta è quel minimo di stabilità.
La sua vita è scandita da Fabrizio, il marito, descritto quale un uomo piacente, sinceramente innamorato della moglie e punto fermo della famiglia, e dalla piccola Agnese, la loro bambina di circa 6/7 anni affetta da una leggera forma di dislessia. L’allegra combriccola gode inoltre della compagnia del silente gatto Gino e del piccolo coniglio Pepe. Tutto scorre tranquillo sino a quando Serena non viene a conoscenza della triste verità sul suo futuro; semplicemente non c’è posto per lei nell’Università a cui ha dato il cuore. Il solito “mi dispiace, il Governo ha tagliato i fondi alla ricerca” echeggia nelle mente della protagonista nonché in quella del lettore che di punto in bianco è preda di quella ostinata sensazione di deja-vu. Tra l’altro anche l’impiego di Fabrizio non va per le migliori. Egli opera nel settore cinematografico, è un cameramen e un tecnico in tal settore, ma corrono voci di un ipotetico fallimento della ditta per la quale presta manodopera.
Ma si sa, la vita toglie e la vita dà ed è tutta una questione di scelta… Una proposta, unica ed irripetibile: un contratto triennale di ricerca, tra l’altro nell’ambito storico in cui ella stessa ha lavorato per la tesi e durante il dottorato, con al termine possibilità (alla peggio) di contratto a tempo indeterminato e cattedra all’interno della nuova struttura scolastica. Unico disarmante e microscopico dettaglio, il trasferimento in America. Si, tutto questo è possibile e realizzabile ma non in Italia, l’offerta viene dal Nuovo Mondo. Che fare? Accettare? Rifiutare?
A questo punto il romanzo abbraccia “due scuole di pensiero” diverse. Da un lato abbiamo Serena che intransigente vuole andare negli USA, è la sua occasione e non vuol sentire ragioni. Sa di risultare egoista ma al tempo stesso non le interessa, non se la sente di buttare all’aria una simile opportunità. Diametralmente opposto è il pensiero di Fabrizio, della madre della ricercatrice, nonché degli amici e parenti stretti della famiglia. Non è una decisione semplice, non significa cambiare solo città, implica cambiare stile di vita, abitudini, voltare pagina, dire addio a tutto e a tutti e se ciò è già complesso per un adulto, come può non esserlo per una bambina tra l’altro dislessica? Perché in tutto questo chi alla fine soffre maggiormente della decisione da prendere è Agnese che si trova sballottata tra idee, opinioni, tra chi le dice di non aver paura perché il luogo dove sono diretti è divertente (c’è pure Disneyland!!), grande e si farà tanti nuovi amici, e tra chi la induce a comprendere la concretezza di quella decisione spingendola a soffermarsi sulle difficoltà di ambientarsi, apprendere una nuova lingua, abbracciare usi e costumi diversi, nonché far fronte alla malattia di cui è affetta. E’ vero, sono impedimenti iniziali, ma non di poco conto.
Poi è da considerare l’interesse del singolo e quello del nucleo familiare. Il testo ruota con forza intorno a questo dogma. Cosa è più giusto fare, coltivare le proprie aspirazioni anche quando queste possono essere lesive per le persone che più amiamo, anche quando non siamo certi di quello che veramente ci aspetta; o trovare una soluzione collettiva, un minimo comune denominatore, capace in primis di porre in essere i veri pro e contro di quello che suddetta decisione può comportare per arrivare alla conclusione più opportuna per tutti? Le carte in tavola consentano al giocatore di intraprendere più strade, ma se talune sono relative ad un futuro ad una carriera, altre implicano una stabilità familiare, la conservazione di quel nucleo così faticosamente creato che potrebbe giungersi ad una sua distruzione, alla perdita di affettività se non coscientemente ponderato sul da farsi.
Stilisticamente lo scritto è costituito da un linguaggio fluente, avvalorato da latinismi nonché romanismi, tanto che si conclude in un paio di giorni, non di più. Mentre la prima parte scorre rapida e senza interruzioni per chi legge, nella seconda qualche pausa è necessaria, più che altro perché si è catapultati in una serie di circostanze, riflessioni che se da un lato fanno quasi odiare Serena per la sua ostinazione, dall’altro creano verso questa empatia perché alla fine chi non vorrebbe lavorare in ciò che ha studiato? Non vede altro che la strada che ha davanti a sé, non cerca alternative, non pensa “proviamo a guardare se posso fare qualche altra cosa qui in Italia”, no, parte per la tangente a prescindere da marito, figlia, nonna e via dicendo, procede imperterrita per quella che crede essere la soluzione migliore e più logica per tutti; d’altra parte c’è un motivo se si è meritata il soprannome Serena “The brain”, lei è l’organizzatrice, la mente, colei che con le sue meticolose liste è capace di analizzare qualsiasi cosa.
Una cosa che sinceramente non ho tollerato è il modo in cui la storica pensa di liquidare il gatto ed il coniglio e il suo non “far finta” di non sentire Agnese. Riduce i primi a meri oggetti, nulla più che pacchi postali. Quando la bambina le chiede se li porteranno o meno con loro resta sul vago, si limita a dire “vedremo” quando in realtà per lei la soluzione è l’abbandono del cd. “animale da affezione” in quel di un gattile o struttura affine o da un parente così, tanto per fare perché tanto di bestie si tratta e una volta nel nuovo continente potranno sempre prenderne di nuovi. Ecco, questa semplice affermazione ha creato in me un moto di rifiuto per la donna. E’ brutto da dirsi, ma già il suo esser mamma mi ha sdubbiato a tratti per le convinzioni portate fino ai massimi estremi a discapito della minore che fa di tutto pur di trasmettere la sua opinione, se poi ci si aggiunge che non lo ritengo un insegnamento giusto da dare ad un figlia piccola come Agnese che dovrebbe essere cresciuta nel rispetto per tutti gli esseri viventi, sensibilizzata su quel che ha intorno, ma soprattutto ascoltata, il risultato non è dei migliori. -“Sei madre cavolo, cerca di ricordartelo ogni tanto, non ci sei solo e soltanto tu”- verrebbe da urlare a questa.
In conclusione, Calamini ha creato un romanzo che è la fotografia dell’Italia di oggi, si è dimostrato uno scritto capace di mettere alle strette il lettore, di obbligarlo a calarsi nei panni di ognuno dei protagonisti ed inevitabilmente a chiedersi “ma io cosa avrei fatto al posto di Serena”?

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