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Cronache di ordinaria follia
“La Ciociara” è un romanzo ambientato all’epoca dello sbarco alleato in Italia, con i tedeschi che ancora occupano metà della penisola fino a Roma e tentano di fermare in ogni modo l’avanzare degli alleati.
La protagonista, narratrice in prima persona, è Cesira, una “ciociara”.
In provincia di Roma con questo termine si intende in genere tutta l’agro pontino, una vasta zona agricola intorno a Latina, caratterizzata da un paesaggio collinare - montagnoso aspro e brullo, più propizio alla pastorizia che alla coltivazione dei campi: di qui il termine “ciocie”, vale a dire una tipica calzatura dei pastori locali, le stesse che ritroviamo ai piedi dei zampognari dei presepi, fatta di pelle di pecora, tanto comoda per i lunghi tragitti a piedi nella transumanza quanto povere e bruttine a vedersi, e certamente assai “burine”, vale a dire campagnole, cafone.
Cesira è una giovane donna originaria di quei luoghi, una povera contadina semianalfabeta, provinciale e sempliciotta sì, ma per nulla sciocca, sveglia, furba, arrivista, gran lavoratrice e determinata a migliorare la propria posizione sociale andando a vivere a Roma, dove si sposerà e avrà la sua unica figlia, Rosetta.
Rosetta diverrà il solo scopo di vita di Cesira, che questa figlia alleva e fa crescere con tutti gli agi, invogliandola a studiare e proteggendola e coccolandola come una leonessa con i suoi cuccioli, perché non le accada mai nulla di male che possa minimamente turbare l’animo buono e sensibile della bambina, ingenua, dolce, timida, così diversa d’animo e comportamento dalla madre.
Quando il marito muore, con l’avanzare della guerra e degli eventi collaterali, s’industria con sagacia e abilità; ma sempre più spesso Roma è bombardata dagli alleati, gli allarmi aerei si susseguono, così come le fughe nei rifugi.
Perciò Cesira decide di lasciare Roma con la figlia, almeno temporaneamente, fin quando la buriana non è passata, questione di mesi, come dicono tutti.
Lasciano Roma dirette nel cuore della Ciociaria, il “ventre della vacca”, i luoghi natali di Cesira, dove la donna ritiene saranno al sicuro dagli orrori della guerra.
Perché Cesira ha conservato la scaltrezza della contadina, sa benissimo che i beni di prima necessità che mancano in città sono di sicuro facile reperimento presso i contadini, naturalmente potendo pagare, e perciò per amore della figlia, volendo salvaguardarla a qualsiasi costo da ogni privazione, da qualsiasi trauma e orrore, si pone in viaggio. Cesira è convinta che la guerra sia un evento che non la riguarda e non può né deve toccarla, un evento transitorio al termine del quale potrà tornare a Roma. Questa guerra, invece, riguarda tutti, l’ultimo conflitto mondiale è quello che ha visto coinvolto direttamente in un modo o nell’altro non più le sole forze militari ma soprattutto i civili, malgrado tanti come Cesira trovino rifugio sui monti della Ciociara illudendosi di sfuggire alle conseguenze del conflitto. Come dice lei stessa, per vivere basta poco, farina e acqua per impastare e strutto per cuocere, e naturalmente i soldi per ottenerli: e lei li ha, e la guerra è solo un fastidio lontano, ormai da non temere oltre. Nel piccolo gruppo di sfollati spicca per indole un giovane, Michele, figlio di un rozzo bottegaio borsanerista, il quale si rivela un giovane istruito, colto, gentile, di animo sensibile e certamente assai diverso dagli altri membri della comunità di rifugiati, becera e ignorante, tra cui è costretto a vivere.
Il giovane, dichiaratamente antifascista, ha un animo timido e riservato ma fiero: è un ragazzo intelligente, anche se ritroso e a disagio con il genere femminile. La guerra purtroppo non risparmia né luoghi né persone, la guerra è un evento tanto improvviso quanto crudele, devastante e incisivo nella vita di chiunque. Gli alleati sfondano il fronte, e un gruppo di soldati tedeschi in rotta dispersi tra i monti, giunge tra gli sfollati, con la forza delle armi chiedono viveri per la fuga e si portano via Michele perché gli faccia da guida tra gli impervi sentieri montani portandoli in salvo.
Tutti rimangono muti, sbigottiti, straziati nell’anima da questo evento: la guerra da cui pensavano di essere scampati li ha raggiunti, una guerra che non li riguarda, che non capiscono e che neanche vogliono capire.
La partenza forzata di Michele sancisce la fine della permanenza tra i monti; ormai le notizie che giungono rivelano l’arrivo degli alleati a Roma liberata.
Così Cesira decide di ritornare nella capitale, certa che ormai non sussiste più alcun pericolo.
Compiuti i preparativi, le due donne si mettono in viaggio, e lungo il tragitto hanno modo di rassicurarsi ulteriormente assistendo al passaggio dei veicoli di trasporto delle truppe alleate: americani soprattutto, ma anche inglesi, francesi e i caratteristici goumiers con mantello e turbante, feroci e crudeli soldati di prima linea di nazionalità marocchina, incorporati nell'esercito francese.
Benché suggestioniate, le due donne si ritengono ormai al sicuro, dopotutto si tratta di truppe alleate, e ormai la guerra può dirsi conclusa; pertanto si apprestano a riposarsi trovando rifugio in una chiesa sconsacrata.
Ed è in questo luogo che esplode il dramma cruciale dell’intero racconto.
La guerra, quest’orrore, non è finita con l’arrivo di altri soldati, la guerra non finisce mai istantaneamente, lascia sempre strascico e dolore che colpiscono con costanza le vittime innocenti e le più deboli, le donne e le bambine.
Saranno anche soldati alleati, ma sono sempre uomini di guerra, feroci e crudeli, e come ebbe a dire Quasimodo, sono sempre uomini “…della fionda e della pietra” gli uomini del tempo di guerra: un gruppo di goumiers con mantello e turbante, quindi tra i più bestiali degli uomini, carne da cannone, feroci e crudeli soldati di nazionalità marocchina, incorporati nell'esercito francese, sorprendono le due donne e non esitano a farne brutalmente bottino di guerra, sottoponendole a forza ad un crudele violento e traumatico stupro di gruppo.
Il dopo…non esistono parole sufficienti a descrivere come si possono sentire le vittime di questo strazio, dopo.
In particolare quando ne è vittima una giovane illibata, ingenua, sensibile, inerme e indifesa come la giovane Rosetta, del tutto ignara di qualsiasi idea di sessualità.
Rosetta ne esce profondamente traumatizzata, a nulla valgono gli sforzi di Cesira di confortare la figlia o di chiedere giustizia per l’affronto subito.
E’ l’effetto deleterio della guerra: guasta gli animi, prima dei corpi, spegne le speranze, distrugge i sogni, sporca i sentimenti.
Solo un evento altrettanto traumatico può in qualche modo innescare una reazione di opposizione, di rabbia, di disperata ripresa nel credere che esista altro oltre l’orrore, che non si deve rassegnarsi al sentimento negativo che si sta impiantando nel cuore: e questo evento è l’arrivo della notizia della morte di Michele, fucilato dai tedeschi in fuga.
La morte del giovane rappresenta una catarsi, una purificazione, un chiodo scaccia chiodo, un dolore enorme che scuote le due donne e le spinge a lanciarsi in lacrime, scosse in un pianto disperato e di speranza insieme, l’una nelle braccia dell’altro, alla ricerca di un reciproco conforto, un giurarsi aiuto ed affetto l’un l’altra, nonostante e a dispetto dell’orrore subito.
Con “La Ciociara” Alberto Moravia, in definitiva, prendendo spunto con l’episodio dello stupro per opera dei goumiers, da un evento storico realmente avvenuto e che coinvolse centinaia di povere vittime esattamente nei luoghi citati, vuole denunciare la tragedia della guerra, la sua violenza, la sua crudeltà, e di come essa incide profondamente l’animo di chiunque, di modo che non siano più gli stessi. Per Moravia in guerra a essere stuprata è in realtà la speranza, i sogni, i sentimenti buoni e semplici, l’essenza stessa del vivere civile.
La rinascita, l’opposizione alla barbarie della guerra, sta nell’educazione, e perciò nella cultura, nel libro rappresentata nella figura di Michele.
L’allontanamento di Michele, la perdita della cultura si può dire, porta alla guerra, che in fondo non è altro che lo stupro della vita.
Mentre il recupero della cultura riporta con fatica l’uomo alla ragione….forse.
Solo forse: spesso l’uomo preferisce restare ancora quello della “…fionda e della pietra”.
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Commenti
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Una storia nella storia... e il dramma della guerra.
Pia
Complimenti per la tua recensione.
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Ferruccio