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Una spina in fronte, una nel cuore
La “Santa degli impossibili”, per Daria Bignardi, è santa Rita (“Voleva così tanto essere partecipe della passione di Cristo che un giorno ricevette in fronte una spina della sua corona: si vede ancora oggi sulla mummia. Un altro miracolo”).
A lei perviene, dopo un itinerario piuttosto sofferto, Mila. Giornalista milanese, coniugata a Paolo, che ha conosciuto grazie a un gatto ( “Monaldo… Paolo e io ci siamo conosciuti grazie a lui”) quando operava come supplente in un ricovero per animali, madre di Maddi, che interviene nella narrazione per fornire il punto di vista dei figli, e di due gemelli, Mila avrebbe tutti i prerequisiti per essere felice… Ma la felicità non si costruisce a tavolino, non la si può programmare o ottenere con la vita familiare, né la si conquista con qualche impegno sociale, tipo volontariato nel carcere di san Vittore (“Quando sto coi bambini, o con gli animali. O coi detenuti. Ma anche al bar”). In Mila talvolta affiorano impulsi autodistruttivi e un disagio strutturale (“A me piace vivere… La cosa che mi viene… è come un mancamento, un’ebbrezza”).
Il ricovero in ospedale dopo un incidente misterioso e la conoscenza di Annamaria aprono uno squarcio di spiritualità e di sorpresa trascendente (“Sfoglio il libro che mi ha mandato Annamaria, una raccolta di disegni di Dino Buzzati sui miracoli di Santa Rita. S’intitola I miracoli di Val Morel”). Chissamai che sia la via giusta da praticare, per approssimarsi a quella felicità che troppo spesso ci sembra irraggiungibile.
La storia è breve, complessivamente triste, ma lascia intravedere qualche spiraglio. La razionalità espositiva della Bignardi, che conosciamo come intervistatrice televisiva talvolta brusca nei cambiamenti di registro, fa da patina al tumulto dello stress sociale e dell’insoddisfazione interiore, in un esperimento essenziale nella forma, interessante nel risultato.
Bruno Elpis
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Non ho letto il libro (non considero la Bignardi una giornalista di valore). Osservo il fenomeno dei molti personaggi noti non in campo letterario che pubblicano opere di narrativa, ovviamente con buoni esiti commerciali. La cosa penso possa interessare ai sociologhi.
Tu hai letto il libro, io no; pertanto sappi che rispetto la tua valutazione.
@ Emilio: lo so, sono di manica larga... e, però, non sempre. Ciao! :-)
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