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Numero Zero
 
Numero Zero 2015-06-23 12:50:13 Todaoda
Voto medio 
 
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Stile 
 
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Contenuto 
 
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Todaoda Opinione inserita da Todaoda    23 Giugno, 2015
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100 metri nella semiotica

Un romanzo originale ed intelligente che per ambientazione, tematiche, ritmo narrativo e stile crea un punto di rottura rispetto alle precedenti opere di Eco. E’ Numero Zero infatti un’opera svelta, quasi verrebbe da dire affrettata, ma che ciò non di meno sviluppa e approfondisce tematiche quanto mai importanti e attuali: il giornalismo, la stampa e la comunicazione, o meglio come viene prodotto, elaborato e percepito, il messaggio, i messaggi, che ogni giorno tv, radio, computer e agenzie d’informazione ci trasmettono; e approfondendo queste tematiche le analizza, seppur con rapidità, accuratamente, spiegandocene, talvolta in tono ironico, talvolta in tono serio, le dinamiche, le metodologie, e persino alcuni “trucchi del mestiere.”
Quali possono essere i motivi per dare maggior rilievo ad un articolo di giornale rispetto ad un’altro, quali possono essere i motivi per unire, dividere, escludere o includere una notizia, sia essa presentata sotto forma di articolo, di servizio televisivo, o perfino come opinione di un presunto esperto? E soprattutto quali sono i modi, i trucchi, gli stratagemmi, per ottenere il risultato desiderato? Meglio usare certe parole rispetto ad altre, certi caratteri, certe forme verbali, certe impaginazioni? Eco in questo romanzo, poiché non dimentichiamocelo pur sempre di romanzo si tratta, ci svela questo ed altro sguazzando amabilmente nella dottrina che per anni è stato il suo cavallo di battaglia: la semiotica, ovvero propriamente la “scienza umana che si occupa dello studio di tutti i segni che servono per la comunicazione” (cit. Il Sabatini Coletti Diz. Della Lingua Italiana). E non è un caso che il verbo qui utilizzato sia “sguazzare” poiché traspare tra le righe il grande divertimento che l’autore trae dalla possibilità di poterci insegnare come plasmare una notizia nella maniera più opportuna; si percepisce il suo piacere, quasi ce lo si immagina con un largo sorriso a premere sulla tastiera al ritmo di un tic al decimo di secondo - adesso aggiungo questo, poi dico quest’altro... - e man mano che la storia si sviluppa, aumenta anche il suo diletto: perché non inserirci un bel complotto in quella nostalgica Milano degli anni ‘90? Perché non infilarci delle belle atmosfere cupe tra le strette vie di Brera o quelle case rustiche e così romantiche dei navigli, e perché non metterci anche un paio di personaggi bislacchi, una bella donna tanto frizzante quanto insicura e un protagonista, perdente nato, che col suo cupo sarcasmo, cupo quanto le viuzze, tinge tutto di noir? Un noir di quelli però all’italiana, senza machismi e sparatorie alla Dick Tracy e al loro posto della buona e sana logica! E infine perché non inserire come perno di tutta la storia, una sorta di “mistero nel mistero”, il mistero ovvero di un fatto che in fondo potrebbe essere realmente accaduto dentro al mistero del saper produrre una notizia creandola magari da zero, dal nulla..., un bel fatto storico insomma in qualche modo innovativo, come può esserlo per esempio quello di Mussolini che in realtà non è stato fucilato a Giulino di Mezzegra sul lago di Como ma per vie traverse è riuscito a scappare all’estero? (Non si svela nulla dal momento che dopo meno di un giorno dall’uscita del romanzo e forse anche prima, ovunque si leggeva che questo fosse uno degli argomenti principali del romanzo). Perché non mettere dunque tutto questo, in fondo è divertente.
E lo è veramente! Lo è, come si è detto, per l’autore il cui diletto traspare nella scrittura e lo è per il lettore che riesce, grazie ad un ritmo a dir poco serrato ma ad una prospettiva sempre distaccata, a farsi coinvolgere da una trama originale senza tuttavia smettere di far funzionare la testa e apprendere, imparare la lezione che “il professore” con leggerezza gli impartisce: non conta cosa è successo ma come è stato riferito poiché tutto può essere sempre il contrario di tutto.
Sarà vero quanto si narra? Sicuramente verosimile, plausibile… Sarà per quel motivo o per quell’altro o quell’altro ancora che la vicenda del “nostro” protagonista è finita come è finita? E il giornale che doveva contribuire a creare? Perché volevano veramente crearlo e chi invece non voleva che fosse pubblicato? Numero Zero è davvero tutto e il contrario di tutto, e così ne è anche la confezione che vuole venga catalogato come romanzo ma che leggendolo poi si scopre che sono tante e tali le nozioni in esso contenute che potrebbe passare tranquillamente anche come saggio, un saggio di divulgazione, ed anche, come in molti ormai l’han già definito un manuale: il manuale del cattivo giornalismo.
Un’osservazione finale in ultimo è d’obbligo farla nei confronti dell’ambientazione della vicenda così differente a quelle a cui ci ha abituato l’autore (è dai tempi del Pendolo di Foucault infatti che non scriveva un romanzo contemporaneo): ambientare una storia in una città che tutti bene o male conoscono e in un tempo che tutti bene o male (almeno quelli che di solito leggono Eco) ricordano può essere un’arma a doppio taglio: se da un lato è senza dubbio affascinante poiché risveglia ricordi forse freschi, forse sopiti, nel lettore, del tipo “ah si dov’ero io quel giorno del 92, cosa stavo facendo?” e via dicendo, dall’altro può creare una sorta di distaccamento, in primo luogo poiché la memoria del lettore per forza di cose è differente da quella dell’autore (vita, esperienze, conoscenze differenti) e dunque il ricordo, l’impressione, nostalgica o meno del tempo filtrata dal nostro, chiamiamolo, bagaglio culturale individuale, potrebbe farci dire “no quella non era la Milano del ‘92, non era così, sbaglia.” In secondo luogo poiché proprio perché l’ambientazione temporale è prossima alla contemporaneità viene a mancare di fatto quell’elemento che tutti i romantici della letteratura (parlo dei lettori non degli scrittori, di coloro ovvero che leggono perché vogliono sfuggire per qualche minuto ogni giorno alla realtà quotidiana senza ricorrere a composti chimici diversamente salutari) hanno imparato ad apprezzare e vanno cercando appena odono il nome dell’autore: il volo nella storia, quella sorta di teletrasporto guttenberghiano che con il prodigio dei caratteri mobili su carta stampata ci consente di rivivere altre epoche ed immaginarci talvolta noi stessi alle prese coi problemi di antichi protagonisti.
Dunque l’ambientazione attuale potrebbe essere un’arma a doppio taglio, ma ancora una volta la scelta del verbo non è casuale, è mia opinione infatti che in Numero Zero non si avverta tutto sommato la mancanza dell’elemento storico e non si avverta neppure la distorsione della memoria individuale poiché a quegli elementi deficitari (per forza di cosa e non per mancanze dell’autore) viene in soccorso il ritmo del narrare che, è bene ribadirlo ancora una volta, qui è estremamente serrato e minimalista, quasi scarno, e con una cadenza così veloce non si ha tempo di stare a riflettere su cosa ci ricordiamo noi del 92, almeno non troppo, con un ritmo così serrato non si ha tempo di star a sentir la mancanza del tempo perduto, il tempo che fu, sia esso il Medioevo, l’Illuminismo o gli anni tra le due guerre, poiché ad un fatto ne segue subito un altro, ad una lezione segue subito la successiva e quello che ci occorre, quello di cui sentiamo realmente bisogno qui sono i fatti, solo quelli: fatti, fatti e ancora fatti. Altro davvero non serve e una volta esauriti questi il romanzo è finito, e poco importa che Milano nel ‘92 magari era diversa, poco importa che la storia del giornale che nasce e non nasce poteva essere più approfondita, così come lo spessore dei personaggi che delineano questa vicenda, e poco importa persino che il perno della vicenda, lo “scoop Mussolini”, era di una forza così originale che meritava da solo un intero libro, di quelli da ottocento pagine, come ci aveva abituato prima il Nostro, qui si parla di giornalismo, di un quotidiano che deve andare in stampa tra poche ore e dunque non c’è tempo per le lungaggini, le incertezze o le riflessioni qui occorrono i fatti, e dunque, come si diceva: fatti, fatti, e ancora fatti, punto e basta. Così è il libro, così i dialoghi, la vicenda, il protagonista, così le sue osservazioni e i suoi pensieri: un rutilante avvicendarsi di accadimenti che come dice la parola stessa “accadono”, accadono mentre li si scrivono, accadono mentre li si leggono e al pari della vita reale non si fermano mai, poiché l’unica volta, la sola volta, che si fermeranno significa che sarà finito, la vicenda, gli insegnamenti, il giornale, il protagonista, il libro, tutto sarà finito.
Piuttosto illuminante fu l’intervista che rilascio l’autore qualche giorno prima della pubblicazione alla tv nazionale, disse (parafraso) - non è un libro come gli altri ad ampio respiro, è rapido, veloce, ad un certo punto è come si mi avesse detto che era finito ed infatti così era: era finito.
Questo dunque è Numero Zero, non un excursus ma una rapida occhiata, uno scatto mentale in un recente passato, e sia che lo si chiami saggio, sia romanzo, sia manuale, sia pamphlet, sia che si dica che è fatto per screditare attuali figure di spicco del panorama politico italiano, sia che si dica sia fatto per riportare alla luce eventi troppo in fretta messi a tacere, sia infine si dica non sia altro che il riassunto delle lezioni di una vita dell’autore, la natura del libro di fatto non cambia, è e sempre sarà quello “scatto”, e al pari delle gare di corsa il cui fascino è inversamente proporzionale alla loro lunghezza (quanti si emozionano per Usain Bolt che fa il record dei 100 m rispetto a Gebrselassie che fa quello della maratona?) questo libro/romanzo/saggio gode di un grandissimo fascino, il fascino dei bei libri che solo i grandi scrittori riescono a creare, quegli scrittori a cui bastano due parole e un punto per crearti una storia, colorarla di realtà e nel mentre spiegarti come funziona il mondo. Due parole e un punto, niente di più. Punto.

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Altri libri di Eco (x stupirsi), libri d'attualita o storia moderna, buoni romanzi
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