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Nuddu ammiscatu cu nenti
Demenza senile: l'ultimo, il più evidente segno della decadenza fisica e mentale della zia Anna.
E' il motivo per cui i suoi parenti più stretti – le due nipoti, Mara e Giulia, e i loro mariti, Luigi e Pasquale – decidono di raggiungerla nella tenuta di Pedrara, sui monti Iblei. Ma non è più la Pedrara degli anni addietro, un luogo accogliente, un contenitore di affetti e ricordi della famiglia Carpinteri, il simbolo delle bellissime estati della loro giovinezza.
Ora Pedrara trabocca di ostilità. Quella dei Lo Mondo – gli affittuari delle serre ancora ricomprese nel patrimonio di famiglia – che nemmeno si preoccupano di nascondere il fastidio per la presenza dei parenti della signora. Quella del dottor Guerrero, il medico personale della zia, esplicito al punto da invitare espressamente i nuovi arrivati ad andarsene, per evitare guai. E pare esserci ostilità persino nella sfuggevolezza di Bede, il bellissimo Bede, che accudisce Anna per volontà di quest'ultima, lui sempre presente, sempre al suo capezzale, sempre amorevole, e sempre più il vero custode e amministratore della proprietà di zia Anna e dei Carpinteri.
Bede e Anna, un rapporto indecifrabile, una devozione reciproca nonostante la notevole differenza d'età, il “nuddu ammiscatu cu nenti”...
Sono due le voci che Simonetta Agnello Hornby utilizza per narrare la saga familiare dei Carpinteri: quelle di Mara, la più razionale tra i parenti della vecchia zia, e di Benedetto, detto Bede, in capitoli nei quali impressioni e confessioni dei due si alternano.
La prima è la vera narratrice della vicenda: la sua lunga lontananza da Pedrara è fondamentale per poterla raccontare al lettore, rivelarne i mutamenti, gli angoli più nascosti, i misteri che la velano ed a volte fanno paura (come nell'episodio del profugo impietosamente legato nel giardino e sdraiato sui suoi stessi escrementi).
Il secondo, Bede, è il faro sul passato, quando narra di sé, della propria bellezza e dell'attrazione per la bellezza, della cura che ha avuto per il suo corpo e la sua mente, delle origini e del progredire della propria omosessualità; e nel contempo racconta di Mara, di Giulia, di Anna, di come erano e di come sono diventate, riuscendo nel rendere al lettore i ritratti della famiglia Carpinteri.
L'autrice de “Il veleno dell'oleandro” ha un'indubbia qualità: sa costruire i protagonisti della propria storia, sa come farli vivere, sa donare loro uno spessore che è fatto anche della distanza oscura che lega l'uno all'altro; sa ispirare nel lettore la consapevolezza di quanto le fila di una vicenda si tengano meglio attorno a ciò che viene appena intravisto e non svelato (in special modo quando si parla dei rapporti umani).
Ma le trame intessute attorno ai personaggi de “Il veleno dell'oleandro” sono davvero troppe: lo sfruttamento del lavoro extracomunitario, la violenza domestica, il sadomasochismo nei rapporti coniugali, la mafiosità (o forse la massoneria), la passione per la pornografia, la vita omosessuale e bisessuale, ed altro ancora.
E' da grandi scrittori saper descrivere il “torbido”. Superando il limite concesso a tale descrizione, però, si intacca la stessa credibilità della storia, depotenziandola. Ed è quel che pare accadere in questo libro. Ad una scrittrice che ha in ogni caso simile capacità di scolpire i propri personaggi, va concessa un'altra occasione (e forse più d'una), magari dedicandosi alla lettura di suoi romanzi più acclamati.
Commenti
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La tua interpretazione della recensione è più che giusta, e sono d'accordo con te sul fatto che una scelta del genere si addica solo a pochi. A presto.
Io non so quanto abbia sbagliato il dosaggio degli ingredienti e quanto invece abbia calcato la mano per creare un calderone in cui c'è di tutto.
Oltre alla trama che non sta in piedi è proprio lo stile ad essere pedante e inutile.
Io credo si possa anche mettere molta carne al fuoco, ma che si debba voler dire qualcosa!
Sullo stile, invece, ho avuto un'impressione diversa: il libro, così confusionario dal punto di vista contenutistico, ha avuto la forza, per quanto mi riguarda, di non farsi mai abbandonare. Io trovo questa scrittrice - è il primo suo libro che leggo - molto brava a dipingere alcuni tipi umani. Dico alcuni perché - altro problema del libro - c'è enorme distanza tra quelli descritti accuratamente da quelli descritti senza particolare entusiasmo (la coppia Giulia-Pasquale mi ha davvero infastidito per superficialità, mentre ho trovato la figura di Bede costruita in modo positivamente inusuale per il tipo di personaggio).
Il mio giudizio è che la Agnello Hornby sia una buona scrittrice che ha sbagliato il suo libro... Certo mi inquieta molto il giudizio di Bruno su "La mennulara", una delle sue opere più acclamate (anche nei giudizi di persone che conosco): se ha sbagliato anche quel libro, allora hai ragione tu, e bisognerà che io riveda il mio giudizio complessivo sulla scrittrice.
Io, come vedi, non ho consigliato la lettura di questo libro ma ho lasciato la scelta a chi legge la recensione. Ciò perchè capisco che possa generare anche un giudizio come quello di Silvia Toccafondi. Mi lascia più interdetto la tua valutazione de "La mennulara" di cui molti mi hanno parlato bene. Evidentemente il giudizio complessivo sulla scrittrice va sospeso.
Non conosco Trueba, ma i "latinos" (tra i quali immagino egli rientri) sono specializzati nel raccontare saghe familiari (Garcia Lorca, Allende, etc...).
Concordo con il tuo giudizio sul libro, Bruno... E poi Verga è stato uno dei miei preferiti sin dai tempi del liceo: non saprei dirtene che bene! :)
dell'autrice ho letto La zia marchesa, che reputo buono e La monaca, piuttosto scialbo, di cui ho evitato anche la recensione.
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Quando leggo, questa scelta mi dà fastidio e solo scrittori grandissimi riescono a produrre una coralità che regga. Personalmente preferisco libri che tendano all'approfondimento, alla verticalità, rispetto a quelli che optano per un'estensione tutta orizzontale.