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Cronaca di un'indagine
Dopo essere stato a capo delle Squadre Mobili di Reggio Calabria e di Cosenza e aver indagato sugli attentati mafiosi del 1993, Michele Giuttari ha guidato la Squadra Mobile di Firenze dal 1995 al 2003, ricoprendo un incarico centrale nella fase finale del caso del “mostro” e rilanciando la tesi dei cosiddetti “compagni di merende” e del secondo livello di mandanti la cui identità, ammesso che esistessero, è rimasta ignota.
La vicenda, tristemente celebre, non ha bisogno di presentazioni. È nota a tutti la serie dei sedici omicidi di giovani coppie che erano solite appartarsi in luoghi isolati della campagna fiorentina.
Una storia che ha terrorizzato Firenze dal 1968 al 1985, con profondi risvolti sociali e mediatici.
Poco fa ho letto “Dolci colline di sangue” del giornalista Mario Spezi, in collaborazione con lo scrittore statunitense Douglas Preston. Un romanzo-inchiesta che respinge con fermezza la teoria della colpevolezza dei “compagni di merende”, favorendo l’ipotesi di un serial killer solitario riconducibile alla cosiddetta “pista sarda”.
Per completare il quadro ho quindi letto “Il mostro” di Michele Giuttari, aderente alla tesi opposta.
Il romanzo è una sorta di documentario approfondito e ricco di dettagli e riflessioni, scritto in prima persona dall’autore che descrive minuziosamente tutte le fasi della sua indagine dal 1995 al 2003, data in cui è terminato l’incarico lavorativo.
È impossibile stabilire se la tesi di Giuttari corrisponda alla verità dei fatti. Da lettore, ammetto di essere stato maggiormente persuaso dalla tesi dell’omicida seriale solitario e mai sfiorato dalle indagini. Opinioni personali a parte, indipendentemente dal fatto che Pacciani, Vanni e Lotti fossero o meno gli esecutori materiali, emerge dal testo una realtà gretta, malsana, torbida, popolata da individui morbosi, da guardoni scarsamente inseriti a livello sociale, frequentatori di prostitute e fantomatici santoni. Probabilmente non colpevoli dei delitti del mostro, ma sicuramente moralmente riprovevoli.
Similmente al romanzo di Spezi, anche Giuttari sottolinea con amarezza che gran parte delle difficoltà riscontrate è assimilabile all’iniziale inesperienza nelle prime fasi del caso, alla superficialità e alla non accuratezza delle procedure investigative tra indizi smarriti e prove analizzate in tempi e modi non corretti. Errori e mancanze, in parte causate dalla scarsa abitudine ad affrontare una certa tipologia di omicida seriale, che hanno compromesso fin dall’inizio la soluzione del mistero del mostro di Firenze.