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Tre capitoli
L'analisi della propria vita, per il protagonista di questo romanzo, inizia quando si ritrova di fronte al proprio padre fattosi larva in un letto d'ospedale, destinato a morire o alla scoraggiante alternativa di vedersi ricostruito dai medici un ano artificiale sulla pancia.
E' allora che vengono a galla i lati più nascosti del protagonista-narratore, o forse solo quelli che non ha saputo interpretare prima: l'ingombro che la figura paterna ha sempre rappresentato e le ripercussioni che ha avuto sulla sua personalità in crescita; il perché dell'abbandono della casa di famiglia per cercare fortuna a Roma; il riemergere di determinati episodi di gioventù... Una riflessione sulla propria esistenza resa ancor più difficile dall'intrecciarsi di ulteriori vicende disturbanti: lo scontro con una petulante compagna francese (già vedova) negli stessi giorni in cui il padre giace in corsia; i fastidi e i dolori provocati da quel rene abbassato con cui deve forzatamente convivere; i dubbi per la sua relazione con una ragazza giovanissima, che alla prima buona evenienza si augura di mollare; la somatizzazione di tutti questi problemi in altre malattie, magari immaginarie. E altro ancora.
Nel 1964, Giuseppe Berto vince il premio Campiello e il premio Viareggio con questo romanzo i cui personaggi sono dei paradigmi senza nome (il papà, la mamma, le sorelle, la vedova francese, la ragazzetta innamorata, lo psicologo). Il protagonista – alter ego dello scrittore – si destreggia tra essi e contemporaneamente con i propri umori altalenanti. Tutto scaturisce dal complesso rapporto tra un padre borghese (carabiniere e, dopo la pensione, cappellaio) e un figlio instabile (che si arrangia scrivendo soggetti e sceneggiature per impresari cinematografici di mezza tacca).
La particolarità di questo libro è costituita senza dubbio dallo stile di scrittura: in esso si sente l'eco di Saramago ma – visto il tono costantemente ironico, che non si addice allo scrittore portoghese – è forse più esatto dire che richiama il linguaggio parlato. Se è vero che oggi uno stile del genere è piuttosto usuale, negli anni '60 deve aver fatto la fortuna di questo libro (costituendo con tutta probabilità anche l'ispirazione per autori successivi).
E' proprio la scelta dell'ironia e dell'autoironia (che a volte finisce per rendere caricaturale il personaggio) a dimostrare come questo non sia un libro sulla depressione o sull'esaurimento nervoso; ciò contrariamente a quanto affermato sulla quarta di copertina di alcune edizioni del libro (che – per pigrizia? – si lasciano adescare dal titolo dato dall'autore). E' invece un libro sul conflitto interiore, che nella parte finale trova sponda nella psicanalisi e nelle teorie freudiane, richiamando la continua opposizione tra Io, Es e Super-io: sotto questo aspetto l'ultimo capitolo costituisce la bella autoanalisi di un uomo che prova a far pace con se stesso (dunque ad accettarsi per quello che è), salvo poi tornare a scontrarsi con la vita presente invece che con il passato.
In conclusione “Il male oscuro” non è seriamente proponibile quale studio della psicologia umana, bensì – in un'ottica meno pretenziosa, e comunque più “giusta” per un'opera letteraria - come resoconto “diaristico” sorretto da abbondante arguzia: non a caso il libro è da molti avvicinato a “La coscienza di Zeno” di Svevo (opera, ad un certo punto del volume, direttamente citata) e a “La cognizione del dolore” di Gadda (che per Berto accettò di scrivere una prefazione a questo lavoro).
“ (…) ciò che importa raggiungere è una serena valutazione di se stesso nei confronti della realtà, cosa tuttavia più facile da dire che da fare dato che velocemente cambiamo noi e insieme ovverosia contemporaneamente cambia anche la realtà...”
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Commenti
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Di Bruno attendo con curiosità la recensione.
Ad Emilio mi viene da dire che, se ho capito i suoi gusti letterari, il libro potrebbe piacergli; mentre a Laura posso dire che a me non ha entusiasmato, anche se non se ne può disconoscere la buona qualità letteraria.
Due precisazioni:
nella postfazione al libro, è lo stesso Berto che nomina i due libri a cui, poi, tutti hanno avvicinato "Il male oscuro";
vorrei poi allontanare un equivoco che potrei aver creato: quando affermo che nello stile di Berto si sente l'eco di Saramago, intendo che lo stile di quest'ultimo mi pare più potente. Quanto alla cronologia, invece, è giusto ricordare che Berto viene ben prima di Saramago, e dunque non può essersi ispirato al maestro portoghese, ma, semmai, il contrario.
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