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Un sabato, con gli amici di Andrea Camilleri
Senza Montalbano, senza Sicilia, senza dialetto, Camilleri “Esordisce” ottantenne con un romanzo sperimentale, come lui stesso afferma; intraprende strade diverse, con esiti un po’ disorientanti. Non sembra di leggere Camilleri, non lo stesso stile narrativo al quale siamo abituati, non lo stesso sguardo compartecipe verso i suoi personaggi. Il suo estro creativo ci estrania e ci devia verso percorsi insoliti, anche se, in pectore, forse, giaceva una storia borghese di tal fatta con magmi sotterranei di insoluti traumi e drammi a causa dei quali la vita dei protagonisti del romanzo si veste di menzogne e ambiguità. Il titolo sembra echeggiare una pièce teatrale tipo “Metti una sera a cena” di Giuseppe Patroni Griffi o i drammi pirandelliani dell'assurdo o certi film di riunioni amicali dove succede di tutto. La struttura del plot è costruita secondo tecniche teatrali, dalle scene iniziali in cui sette bambini vivono inconsapevoli situazioni scabrose alle scene successive, in un intreccio capriccioso del destino, in cui li ritroviamo adulti e tutti insieme, per relazioni di varia natura intercorrenti tra loro. Alcuni, compagni di liceo o di università, legati da un passato sotterrato che adesso riemerge e rischia di sprofondarli in abissi senza fine. E’ questa storia un dramma borghese intrisa di ogni tipo di nefandezze e obbrobri che si celano come certi incubi notturni o sogni allucinatori che ottenebrano il ben dell’intelletto e scattano meccanismi perversi spacciati per normalità. La trama, in breve, racconta, per istantanee, tranches di vita di Matteo, Gianni, Giulia, Anna, Fabio, Andrea, e Renata, detta Rena, da bambini, vittime di adulti insani e poi nell’età matura una tranquillizzante elaborazione del loro passato, ripugnante, non è catarsi, ma dannazione. Non si sciolgono i nodi dell’intricato vissuto infantile, ma si disvelano solo nella mente dei protagonisti con tutto il loro peso morboso e ineluttabile. Camilleri plasma una materia narrativa profusa a piene mani di miserie e una scrittura non indulgente, ma secca, essenziale, dialogata, scarnificata da qualsiasi pietismo personale restituendoci degli esseri umani che d’umano hanno ben poco. Che dire, spiazzante lo scrittore, non finisce di stupirci e, forse controverso ne risulta il grado di piacevolezza che questo libro ci offre. Certo è che Camilleri impavidamente si mette sempre in gioco come un giocatore d’azzardo che osa ad oltranza o come chi pratica sport estremi per misurare se stesso in una sfida continua.