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Un vuoto deserto colmo di speranze
"Ognuno è solo sul cuore della terra trafitto da un raggio di sole ed è subito sera", queste sono le parole di una famosa lirica di Salvatore Quasimodo e che, secondo il mio punto di vista, colgono perfettamente il senso dell'opera di Buzzati. Il tenente Drogo si reca alla fortezza con malinconia e rassegnazione, sperando ardentemente di poter abbandonare quel luogo ancora prima di raggiungerlo. L'aspetto austero dell'edificio, il frustrante suono della cisterna, le assurde e complicate regole che i soldati sono tenuti a ricordare e a rispettare, gettano Drogo in uno stato di malessere e insoddisfazione, ma soprattutto di ossessione per la fuga inesorabile del tempo, temendo di dover consumare gli anni migliori della sua vita in un luogo così inospitale. Paradossalmente, il deserto dei Tartari che si scorge dalle piccole finestre, è l'unica oasi nell'arida solitudine che il protagonista deve affrontare. La speranza che un giorno giunga qualcuno dal nord, che si verifichi un attacco da parte dei nemici riscattando la fortezza da quella soffocante staticità e interrompendo la monotonia estenuante delle giornate che si susseguono una identica all'altra, è l'unica che riesce a rendere la permanenza di Drogo meno insopportabile. Così anche Drogo subisce il fascino misterioso della fortezza e, quando gli viene finalmente offerta l'opportunità di andarsene, decide invece di rimanere. Improvvisamente sente di avere così tanto tempo ancora a disposizione che non c'è più alcun bisogno di preoccuparsi della fuga della sua giovinezza.
Tuttavia i quattro mesi diventano ben presto quattro anni, e Drogo piomba nuovamente in una condizione di profonda disillusione e pentimento per non aver abbandonato la fortezza prima, mentre ora è bloccato tra quelle spesse pareti che assorbono la sua esistenza. Drogo non ha più scelta e anche il periodo di licenza che trascorre in città si rivela una delusione perché, diversamente da quanto immaginava, lì non c'è più nessuno ad attenderlo, ognuno ha continuato imperturbabile la propria vita senza curarsi della sua assenza. Intanto le speranza in un possibile attacco, in una guerra in quel deserto di esacerbante pace, continua ad occupare i pensieri di Drogo e dei pochi soldati rimasti. Un lume, una linea nera in lontananza bastano a far riaffiorare quella gioia di vivere che sembrava essere perduta per sempre. Purtroppo, proprio quando qualcosa effettivamente accade dopo anni di lacerante attesa, Drogo è troppo vecchio e malato per prendere parte alle operazioni e viene addirittura rimandato a casa. Tutti quegli anni spesi ad aspettare un segno, un avvenimento che desse un senso alla sua vita e che premiasse i suoi sacrifici, vengono così gettati al vento, ma Drogo non ha nemmeno più la forza di arrabbiarsi o di deprimersi. Si prepara a morire con tranquillità e anche se solo, abbandonato da tutto e da tutti, vuole terminare la propria vita da vero soldato, da uomo che ha combattuto contro il più pericoloso dei nemici: il tempo. Le lancette scorrono sul quadrante dell'orologio della vita, passano i secondi, i minuti, le ore, e quando scocca la mezzanotte ed inizia un nuovo giorno, sentiamo già il peso del tempo trascorso, la paura di non averlo impiegato nel migliore dei modi, di averlo anzi sprecato. Ma il valore incredibile del libro è proprio questo: alla fine Drogo, anche in punto di morte, non smetterà mai di sperare e acquisisce immediatamente la consapevolezza che in ogni caso la vita vale la pena di essere vissuta e il tempo trascorso a sperare, a gioire, a soffrire è sempre ben speso perché è proprio questo ciò che chiamiamo vita. Colmare quel deserto roccioso con piacevoli, anche se illusorie, aspettative è stato quanto di meglio si potesse fare e il solo fatto di aver avuto la possibilità di immaginare una battaglia, è la più grande vittoria che si riesca ad ottenere.
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Ferruccio