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La posta del cuore
Avrò cura di te è figlio di Massimo Gramellini e Chiara Gamberale, qui impegnati in un improbabile duetto: quello composto da Gioconda, trentaseienne vittima di una cocente delusione amorosa, e da Filemone, un angelo (“Lo confesso: nella mia ultima vita terrena sono stato un maschio”) che la confusa regia cosmica dell’arcangelo Rapha-el assegna alla donna come guida per un’educazione sentimentale tanto provvidenziale per lei quanto deludente per noi lettori (“L’ultima volta che sono nato ero… falegname e violinista”). Infatti, dopo un attacco pretenzioso e mistico, scopriamo che il matrimonio di Gioconda con Leonardo (!) prosaicamente è naufragato, udite udite… per un tradimento!
Il difficile recupero della fedifraga è condotto dall’essere alato in modo paternalistico, attraverso ragionamenti scolastici (“Il pronome della testa è Io, il pronome del cuore è Noi”) che non disdegnano gli schemi più accademici (“L’anima affine… le anime complementari… infine, le prescelte”). Tra pensieri non brillanti (“E non sarà certo tornando indietro che riavrai quanto hai perduto”) come la natura soprannaturale del protagonista presupporrebbe, sbigottiti percorriamo un repertorio al quale i cioccolatini potranno ampiamente attingere (“Trovarsi rimane una magia, ma non perdersi è la vera favola”). Alcune – presunte astute? - immagini (“Non dare retta a chi tesse l’elogio delle vite pianeggianti. Le salite sono trampolini. E a te è sempre piaciuto tuffarti, vero?”) non riescono a riscattare una trama esile (“Impareremo ad accettare la morte del tuo grande amore. Ed è questa, credimi, l’unica possibilità di farlo risorgere”), che neppure qualche timida allusione al sesso (“L’anima dell’uomo risiede dentro a un corpo e non può fare nulla se non attraverso il corpo”) e la tecnica del dittico riescono a fortificare.
Le vicende collaterali che confluiscono in quella principale sono sorrette da personaggi che hanno un ruolo talmente di comparsa da non meritare neppure di essere chiamati per nome: l’amante (il padre di un allievo di Gioconda) è il “Grande Sbaglio”, la nuova fidanzata di Leonardo è la “Cosa Così”, Leonardo è “l’Innominabile” (così adesso la letteratura può vantare – oltre all’Innominato di manzoniana memoria – anche l’Innominabile).
Il romanzo – merito più di un viaggio nell’isola di Pasqua che della creatura angelica - scorre verso un epilogo ampiamente annunciato, sul quale spiccano il volo ben due cicogne, e le pagine finali sono il trionfo di massime che rapinano a piene mani negli archivi della posta del cuore dei rotocalchi (“Ogni tradimento è il tentativo di colmare un vuoto che soltanto voi potete riempire”).
Bruno Elpis
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Ti diro', quando la mia collega mi dice : leggilo e' BE LLI SSI MO, io le rispondo sempre : allora non ci penso nemmeno.
:-)
Vi dirò, è un libro evanescente, troppo costruito per mietere consensi. Lo si poteva immaginare, ma spesso io non resisto alla curiosità "sociologica" di leggere i best seller per cercare di comprendere le cause dei successi editoriali... Però no, nessun libro non lascia nulla, nel bene e nel male...
b
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