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IL DOLORE OSCENO
Appena inizi a leggere "La vita oscena" ti arriva addosso un'ondata di dolore che non riesci a scansare, ti sovrasta e poi ti sommerge come uno tsunami. Parole dure, durissime ti colpiscono come una scarica di proiettili. Cancro. Morte. Solitudine. Disperazione. Psicofarmaci. Un adolescente che perde entrambi i genitori, il vuoto e l'angoscia che iniziano già prima, dalla paura di questa morte, e dopo è come se il protagonista premesse un pulsante di espulsione da sé: inizia a vivere senza esistere, in uno stato di perenne alterazione da alcool e cocaina, dove tutto è amplificato ma anche allontanato, come in un presbite tentativo di messa a fuoco della realtà. Poi pagine e pagine di attesa della riemersione che, invece, è frustrata a ogni passo, a ogni gesto del protagonista dalla sensazione di un inabissamento senza fondo. È un flusso di coscienza, o piuttosto di incoscienza, il racconto senza sconti e senza commiserazione di un tentativo dopo l'altro di auto annientamento, che passa attraverso l'alcool, la droga gli psicofarmaci e poi il sesso, comprato in ogni possibile forma. Ma la scrittura ha il ritmo della poesia, e qualcosa di poetico ti raggiunge anche nei momenti più squallidi e angoscianti. Forse è la totale assenza di giudizio che spiazza, perché il protagonista non giudica se stesso né gli altri, forse è la capacità di fotografare in modo preciso e persino asettico questa condizione di non-vita, che riesce a raccontare senza voler stupire né colpire o scandalizzare. C'è qualcosa di molto potente in questo racconto. Per il protagonista non c'è morte e non c'è rinascita, c'è solo la vita, e l'inferno che ha dentro e che pure può attraversare. Per uscirne.