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Autorità o autorevolezza?
Premetto che conosco poco il mondo degli adolescenti se non per commenti di fratelli, colleghi e amici insegnanti. Il protagonista lo dipinge come un mondo di amebe digitali, isolate ciascuna nel suo mondo iperconnesso. Sembra quasi un ossimoro : ognuno solo ma connesso con il mondo. Qual è la loro realtà, ammesso che ne abbiano una? E’ fatta di scuola, studio, rapporti con amici e genitori, fatti che accadono intorno a loro, o piuttosto di tweet, mi piaci, whatsapp, una realtà virtuale che costruisce intorno a loro un mondo a sé, separato, una tribù con un suo linguaggio, delle sue abitudini e forme di comunicazione?
Sarà pure un mondo separato ma il marketing trova i canali giusti per raggiungerli: l’ultimo smartphone, la felpa che si trova solo a N.Y., le scarpe di cui non puoi proprio fare a meno e qualsiasi cosa crei in loro il desiderio di fare proprio perché tutti quelli della tribù ce l’ha.
Avranno sogni, desideri, che non siano meri beni di consumo, pulsioni sessuali?
Il protagonista guarda suo figlio come si guarda uno sconosciuto che per caso è tuo figlio, vive in casa tua, passa parte della sua giornata sdraiato sul divano in mutande, circondato dai suoi feticci tecnologici. Livello di comunicazione : zero.
Qui si apre una disamina di questo padre: accondiscendente, insicuro su ciò che è giusto fare o non fare, impegnato a cercare una forma di comunicazione con il figlio attraverso improbabili e goffi tentativi, preoccupato di non ricalcare vecchi stereotipi in voga tra i genitori ai suoi tempi. Il potere e l’autorità li vede come il diavolo l’acqua santa: lui ha fatto le barricate. E’ un borghese di sinistra, così si definisce, anche se non so se l’espressione abbia ancora un senso. Però un padre, per di più se di sinistra, non dovrebbe confondere l’autorità con l’autorevolezza, la possibilità di comunicare con il proprio figlio e di avere una qualsiasi forma di rapporto civile dalla netta distinzione dei ruoli: il padre fa il padre e il figlio fa il figlio. A me pare che il protagonista sia confuso e insicuro, miri a un rapporto amicale con il figlio che presumo non crei i presupposti indispensabili per un sano e concreto rapporto tra padre e figlio.
La indiscutibile ironia dell’autore rende il racconto piacevole ma non lo innalza a qualcosa di più di un pamphlet sugli eterni interrogativi del rapporto fra genitori e figli.
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