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Buio
"Avevo ventisette anni. Per ventiquattro nel mondo. Poi sette mesi nel fianco della montagna con la Principessa del caffè. Tre mesi di nuovo fuori, a trasportar cose, poi due anni e due mesi da solo."
Chi scrive è un carcerato, condannato all'ergastolo per aver tenuto sotto sequestro una giovane donna e per aver poi ucciso in carcere una guardia. Anonimo; a chi importa il suo nome? Non è che un uomo, o forse neanche più quello, perchè la prigione e l'isolamento annullano la vita. In un lungo flusso di coscienza, il protagonista-narratore ripercorre i giorni tutti uguali del carcere, dando voce a pensieri straordinariamente lontani dalla quotidianità, ma straordinariamente umani. Ci si aspetta di trovare dei "cattivi", ma entrando nel mondo descritto dal protagonista lo scarto col reale si fa sempre più marcato, tanto da indurre il lettore a riconsiderare i giudizi verso questo. Buono e cattivo non esistono, o almeno non come li conosciamo. La narrazione attraversa i momenti cruciali della vita del carcere: il ritorno con la mente alle azioni commesse e alle proprie vittime, i difficili rapporti con carcerati e carcerieri, la solitudine interiore e l'assenza d'intimità, l'attaccamento alle cose, ai pensieri e ai dolori, la speranza nel futuro. Il narratore scava a fondo nella sua coscienza, descrivendo senza filtri i pensieri che percorrono la sua mente nel tempo senza fine dell'ergastolo.
"Fuori c’è un sacco di gente che dopo i cinquant’anni si ammazza, perché ha capito che il mondo non si aspetta piú niente da loro. Tolto l’eredità, forse. Qui invece col fine pena a sessant’anni pensi di avere ancora tutto da fare. Di poter diventare astronauta, ballerino, imprenditore. Perché dietro hai poco. Come se le cose della vita stessero in un sacco, dove non puoi vedere, ma senti che pesa e comunque, se hai tirato fuori cosí poco, qualcosa dev’esserci rimasto. Tutta la vita non consumata dev’essersi conservata, in qualche modo, da qualche parte. Dovrà arrivare. Non può essere evaporata semplicemente passeggiando, dormendo. "
Decisamente un'intuizione originale e dal notevole potenziale quella dell'autore; unico piccolo neo il linguaggio, forse troppo monocorde, ma d'altronde funzionale a riprodurre il continuo circolo e ricircolo dei pensieri di un carcerato.
Certo, l'impatto del lettore col nuovo mondo non è facile: il lettore all'inizio si sente quasi spaesato, in un ambiente irreale, ma man mano che si procede il libro si rivela un crescendo d'emozioni, tanto che, girata l'ultima pagina, forte sarà la sensazione di aver concluso un viaggio e di esser uscito da un freddo buio.
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