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Ipotesi, tesi e corollari
Pier Paolo Pasolini dimostra un inquietante “Teorema” in quest’opera (anche cinematografica) che nel 1968 fu considerata oscena.
L’equilibrio di una famiglia della piccola borghesia (“Si tratta di una famiglia piccolo borghese: piccolo borghese in senso ideologico, non in senso economico… persone molto ricche, che abitano a Milano”) viene minato dalla presenza di un ospite: un affascinante giovane, che seduce i quattro componenti della famiglia – il padre Paolo, la madre Lucia, il figlio Pietro e la figlia Odetta – e la collaboratrice domestica, Emilia. Con ciascuno di loro (“Benché nascondano un segreto non condiviso, gli sguardi che Lucia, Pietro e l’Emilia non hanno che per l’ospite, sono pieni di trepidazione e di purezza”) l’ospite ha un accondiscendente rapporto di complicità, comprensione e protezione, quasi paterno (“Come se fosse tornato, no, non nel grembo della madre, ma nel grembo del padre”).
Quando il giovane riparte, ciascun individuo ha reazioni eclatanti e amplificate, attraverso le quali manifesta la sofferenza dell’abbandono e l’insofferenza per il precedente, fragile sistema di vita.
L’analisi-dimostrazione di Pasolini penetra gli schemi esistenziali (“Non mi piacciono gli uomini, è detta con protervia ed elegante umorismo… nasconde una verità”), fisici (“la camera… è arredata, cioè, col gusto che le madri attribuiscono ai propri figli”) e psico-sociali (“il pudore e la vergogna – che la sua classe sociale vive in lei…”) della famiglia borghese.
Particolarmente tragica la crisi che investe il padre (“Infatti, come un padre, il deserto lo guardava da ogni punto del suo orizzonte sconfinatamente aperto”), fulcro di un patriarcato che crolla nell’impalcatura: “Così quando il sole rinasceva in un punto dell’orizzonte non contrassegnato da nulla, ecco che, come se nulla di reale fosse accaduto, il deserto era intorno, col disegno e la luce del giorno prima, e con l’ardore terribile del sole che si tornava a identificare col pericolo e con la morte”.
L’opera è un misto di prosa e poesia. Nell’appendice alla parte prima, ciascun protagonista declina in versi il proprio dramma (il fratello “Sete di morte”, la sorella “Identificazione dell’incesto con la realtà”, Lucia “La perdita dell’esistenza”, Paolo “La distruzione dell’idea di sé”. Soltanto il dramma di Emilia viene articolato dall’ospite in “Complicità tra sottoproletariato e Dio”, a significare una visione classista della storica contrapposizione proletariato-borghesia).
Nella poesia “Sì, certo, cosa fanno i giovani…”, si rintracciano passaggi che consacrano Pasolini come indiscusso protagonista intellettuale e originale interprete dei movimenti culturali dell’epoca:
“Di cosa parlano i giovani del 1968 – coi capelli
barbarici e i vestiti edoardiani, di gusto
vagamente militare, e che coprono membri infelici come il mio,
se non di letteratura e di pittura? E questo
che cosa significa se non evocare dal fondo
più oscuro della piccola borghesia il Dio
sterminatore, che la colpisca ancora una volta
per colpe ancora maggiori di quelle maturate nel ’38?”
Bruno Elpis
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Commenti
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non mi sono mai avvicinata alle opere di Pasolini
Ciao, Pia
@ Laura: ho letto questo testo a ridosso del Natale: un'opera per niente natalizia, che mina l'icona della famiglia... Mi ha inquietato, turbato, e ciò giustifica la valutazione di piacevolezza... :-)
@ Anna Maria: no, il film non l'ho visto! Ho amato così tanto il Pasolini del Vangelo secondo Matteo... idem il PPP della trilogia erotica... sarebbe bello che tu ti diffondessi - sotto questo mio commento - con un'opinione critica sul film (sai che ti leggo sempre con interesse e stima, amica mia) :-)
@ Pia: sì carissima, PPP mi affascina per la sua versatilità, per il suo occhio artistico, per la sua radicalità critica.. Grande poeta, narratore maledetto, regista eccelso che ha spaziato dalla laicità mistica del Vangelo all'ambiguità terrena delle ultime opere... :-)
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Complimenti e grazie