Dettagli Recensione
Top 10 opinionisti - Guarda tutte le mie opinioni
Gli oggetti sollecitano il ricordo
“ Era passatempo per noi sorelle, più o meno confinate fra casa e giardino, guardare dall’alto la stradina, giusto un poco più animata di oggi, con viavai di biciclette, di qualche carro di buoi, di donne con le borse, di vecchi che lenti trascinavano i piedi sul selciato di porfido. Più che vedere era interessante sentire: voci, chiacchiere, risate, battibecchi e bestemmie, risse di ubriachi la sera che salivano fino alle nostre finestre come attraverso un megafono, per via della stradina così stretta, delle case dirimpetto così vicine alla nostra. Saliva per noi la vita da quella smorta via semideserta, vita che non conoscevamo e della quale a tutti i costi volevamo apprendere il più possibile.”
La vecchia casa nobiliare si è lentamente spopolata, è entrata in una fase di decadenza come la dinastia che l’abitava, e ora non restano che i segni del passato che Isabella Bossi Fedrigotti evidenzia descrivendoci gli ambienti dell’antica magione e riscoprendo dagli oggetti, dai mobili, da vecchi vestiti ormai non più indossabili le storie di chi lì ha vissuto, lei compresa. Normalmente, o comunque quasi sempre, questo tema viene svolto in modo decisamente prolisso e sovente anche piuttosto greve, ma l’autrice riesce a fornire nuovamente un bell’esercizio di stile, rendendo la lettura più che gratificante.
Così ci accompagna, quasi tenendoci per mano, in una visita, dal pianterreno alla soffitta, facendoci da guida, offrendoci alla vista ciò che si cela sotto la polvere di secoli e, attraverso oggetti e vestiario, veniamo a conoscere le storie dei suoi abitatori, una dinastia di campagna, non particolarmente ricca, ma nemmeno povera, che ha fatto di quella immensa casa un simbolo del prestigio, ma anche un rifugio dalle novità di ogni tempo. L’atmosfera è rarefatta, i passi, i piccoli screzi sono brevi e controllati, insomma si entra in un mondo ai più sconosciuto e che tutto sommato non ci induce a invidiare una nobiltà ristretta volontariamente fra quelle mura, tesa a conservare un particolare modo di vivere che cerca di mantenere immutato nel tempo.
Isabella Bossi Fedrigotti, pur nell’affetto che mostra per i suoi familiari, in particolare gli avi più prossimi, tiene a prendere le distanze, ricordando la ferrea disciplina a cui era sottoposta, l’incapacità, imposta, di essere come gli altri comuni mortali, in un tempo che avrebbe dovuto essere fermo e sempre uguale. Non è un caso quindi se fra la parentela le sue simpatie vanno ad Alfonsina e Giuseppe, i reietti e, a loro modo, i ribelli della famiglia, incapaci di sostenere una vita noiosa, in cui tutto era programmato in un calendario senza variazioni.
Ormai magazzino dei più svariati oggetti, anche di quelli inutili o inutilizzabili, la dimora è diventata una sorta di museo dei ricordi, un magazzino di vite passate le cui tracce possono essere individuate grazie a un tavolo, oppure a un abito dismesso e nella migliore delle ipotesi in uno dei tanti ritratti.
L’autrice, nel ripercorrere le storie dei suoi familiari, porta alla luce un mondo, un modo di vivere che è stato e che mai più ritornerà, ma non c’è rimpianto, non regna la malinconia, grazie alla consapevolezza che non è più tempo di nobili, o meglio non è più tempo del modo di vivere di una nobiltà prigioniera del suo stesso titolo; di un’epoca e di un rango un giorno forse si perderà traccia, ma è giusto sapere com’era e cos’era e Magazzino vita ci fornisce le risposte in modo sorprendentemente piacevole ed efficace.
Da leggere, senza il minimo dubbio.