Dettagli Recensione
Libro e film
Il libro e il film. Distanziati di un anno. Il libro è di quel genere che piace a seconda del periodo che si sta attraversando, della condizione umorale e ormonale, insomma. Un anno fa non avevo voglia di leggere classici russi e mi lasciai coinvolgere per una paio di giorni da Pietro Paladini alle prese con il suo torpore emozionale davanti alla scuola della figlia, dalla moglie Lara morta senza aver il tempo di togliere le infradito, servire il melone, stilare la lista delle ultime volontà - tra cui gli invitati al funerale - e cancellare la posta in uscita, dai personaggi secondari, stereotipati, ma ben descritti. Irreale, il libro, però fluido, piacevole. Come si dice, senza infamia e senza lode. Il ricordo di quella lettura è accompagnato da una catena di piccole coincidenze e insignificanti dettagli che da quei giorni si sono susseguiti. Superando forse le intenzioni dello stesso autore, ho usato per caso il libro come chiave di lettura del mio passato prossimo. Intendiamoci, l'ho fatto in maniera del tutto involontaria, ma andando a cinema mi è apparso evidente. In che senso? Nel senso che ho assistito alla proiezione del film, che non mi è piaciuto, con una sensazione di pienezza a me estranea. Evidentemente, di nuovo, non è la pellicola ad essere causa di emozioni, bensì solo un pretesto. Se non avessi letto il libro, non avrei capito nulla del film. Se non avessi visto il film, le immagini evocate dalle pagine del libro, di personaggi e ambientazioni, le avrei ugualmente conosciute. In sintesi, il regista ha scelto gli attori con maestria, dato che corrispondono perfettamente all'idea che di essi ha il lettore, ma poi ha giocato come può fare una bambina con le sue Barbie. Li fa parlare e interagire in maniera schematica, quasi stesse cercando di fare una sintesi puntuale del testo, facendo attenzione a non aggiungere nulla, anzi omettendo qualunque flusso interiore, con il risultato che la incapacità di elaborare il lutto dei familiari di Lara è, se possibile, amplificata. Gli attori sono bravi, non è questo il punto, ma pare che qualcuno tenga loro le redini, per star certo che non vadano oltre lo schermo, che non raggiungano lo spettatore. Comodamente seduta, pensavo che il mio genere di caos avrebbe i titoli per essere calmo, che la staticità è roba dell'altro mondo, che in un anno ho accumulato una varietà di stati d'animo tale da poter andare in letargo. Ma non ne ho voglia. Lieta di avere ancora un po' di tempo per servire il melone, ho pensato che al posto della foto sulla lapide mi renderebbe più giustizia una cornice digitale, giusto per creare un po' di movimento. Ci ho dormito su. E al mattino ho fatto un giro in macchina con Yell fire! di Michael Franti and Spearhead sparato al massimo. Ha funzionato: l'ascolto ha piegato la logica dei semafori a mio favore, ha fatto vincere il sole sulle nuvole, ha azzerato il già latitante senso del dovere, facendomi parcheggiare a Largo 2 giugno e salire sul bus navetta per andare in centro. Peccato tornare a casa e trovare le parole di don Nicolò Anselmi, della Cei, scandalizzato per la scena più irrilevante del film (non ha neppure apprezzato che nel film Pietro fosse sposato e non convivente).