Dettagli Recensione
una coatta libertà
Tobino scrisse la sua bellissima memoria del manicomio, dal manicomio e per il manicomio tra il 1951 e il ’52. Il ’53 fu l’anno della prima pubblicazione. Nel ’63, per una nuova edizione, dopo aver raccolto e annotato meticolosamente le reazioni della società sana, accompagnò la sua memoria rinnovandola con nuovi interrogativi. L’avvento dell’uso del psicofarmaco cambiò, nel frattempo, il profilo del manicomio ma non la richiesta che già, in prima istanza, poeticamente, faceva agli uomini, fuori.
PIETÀ
In senso cristiano: avvicinamento dell’uomo all’uomo.
Si aggiunse ad essa la paura che la terapia farmacologica intorpidisse quel mistero che si chiama follia non facendolo più captare.
Nel frattempo nuovi scenari si sono delineati, dalla chiusura dei manicomi all’istituzione dei centri di igiene mentale alle recenti disposizioni di chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari.
Cosa è cambiato?
Tobino è morto nel 1991 ma le sue parole ,siglate nel ’63, sono per me ancora valide. I progressi ci sono stati ma l’indifferenza del sano e l’ignoranza sul tema regnano, ancora, purtroppo, sovrane. L’invito è allora alla lettura di un libro che descrive un microcosmo che non c’è più ma che è stato e che ha il potere di graffiare l’anima e di farla sanguinare di pietà.
Un assaggio:
I LUOGHI : il manicomio come castello e come bastione monumentale. 200 infermieri- contadini, 19 suore, 1040 matti “Don Chisciotti non amati”. Ambienti descritti rapidamente e accostati al rumore e all’odore (“le voci come lame, sottili e perforanti”), (“il puzzo di bestia”). Spazi interni, spazi esterni, il confine tra salute e malattia nei viali che congiungono gli ingressi.
LE DIAGNOSI: TUTTE, ma sopra tutte I DELIRI come religioni o come soffi malsani.
LE DONNE: Viola, Sbisà, Oresta, la Panconi, la signora Alfonsa (l’affidabile), la bellissima ragazza di Livorno, la faina, la Lella, la Gabi...Una su tutte la Lella che, descritta minuziosamente, ha il potere di farci conoscere meglio il medico-poeta che da lei si è fatto raccontare.
IL MEDICO: interroga (?), passeggia, osserva, capisce, scherza, viene fagocitato, vive nel manicomio, ne è imperniato, ne è un internato lucido che si chiede: “Dov’è il popolo degli affetti che vive in ogni persona?”. Cura gli ambienti, ama i pazienti, vive in angoscia se non rientrano perché ha concesso pizzichi di libertà alle poche anime che ancora la chiedevano. Ansie e paure e, unico desiderio, coltivare le piccole porzioni di anima delle persone matte.
L’UOMO: ci guida tra gola, nudità, magrezza, agilità, obesità, delinquenza, ingovernabilità della propria volontà, irsutismo, giovinezza, mestizia, vecchiaia, erotismo, a cercare, tra le libere donne, la sensibilità ai complimenti, i sorrisi strappati, gli occhi che brillano o sono lucidi di malinconia e di sopportazione o celano un segreto...(GLI OCCHI, infinite volte rappresentati).Un uomo che invita gentilmente a considerare che “un medico di manicomio, se è vivo, sempre vortica tra il peso dei deliri e la speranza che qualsiasi uomo, anche se pazzo, sia libero”.
Io scrivo questo perché lo penso, ma per onestà intellettuale vi invito alla lettura fattane dall’illustre Vittorino Andreoli nell’opera” Il matto di carta”. Lì è evidente la posizione dello psichiatra che vede in Tobino un conservatore del magistero-manicomio, qui della lettrice un poco avvezza a tali tematiche e legata più ad una lettura col cuore e a certi canoni estetici che portano ad ammirare una prosa toscana finemente descrittiva e ricca di poetiche similitudini.
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Commenti
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sarò curiosa di leggere le tue opinioni a riguardo. Io vi ho visto una grande umanità e una profonda sensibilità che, contestualizzate, assumono un valore ancora più alto viste le difficoltà che ancora oggi incontra una persona alla quale è stata diagnostica una patologia mentale importante.
Lo stigma della società è purtroppo imperante e se un medico negli anni '50 e '60 si è, passami l'espressione, ancorato all'idea di internamento manicomiale, al senso di protezione che esso per alcuni pazienti rappresentava, per me quel pensiero, che oggi parrebbe distorto e fuorviante se non inaccettabile, non è poi così malsano.
Molto spesso ciò che la legge Basaglia ha permesso, nel rispetto delle buone pratiche in tutto il Paese, lascia ancora un forte senso di isolamento e una distanza incolmabile, quella dei parenti stavolta, che ne devono gestire il carico quotidiano laddove lo Stato taglia sempre più.
Se poi penso alle contraddizioni del medico, mi rassicuro con la convinzione che la scrittura, potere dell'arte, abbia espresso ciò che la scienza non può.
Un saluto
leggo sempre con piacere le riflessioni che accompagnano le tue letture.
Ciao
Laura
GIACOMO BALLA, La pazza (part.), 1905, Roma, Galleria Nazionale d'arte moderna.
Ho letto questo libro meno di un anno fa, restandone davvero molto colpita!
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Ho letto il libro tempo fa e penso meriti una rilettura.