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E che festa sia!
Un padre e un figlio davanti al falò tradizionale durante la notte di Natale. Tullio torna ai suoi affetti dopo un anno di lavoro in Francia, Marco è al settimo cielo perché può nuovamente dare sfogo a sentimenti repressi per mesi.
Tullio ha dovuto emigrare poco più che adolescente, trovato lavoro ha poi dovuto sacrificare la sua vita lontano dalle persone che ama. Marco vive nel ricordo del padre e per il suo ritorno.
Ora è tempo di confessioni, quelle di un padre che finalmente vede il figlio cresciuto, maturo, in grado di comprendere cose che fino a qualche anno prima potevano essere fraintese dall'acerbo sapere fanciullo, mentre Marco può confrontarsi (quasi) alla pari col genitore, non più mitizzato in forma semi-divina.
Il figlio ascolta attento il resoconto ed intanto materializza mentalmente i periodi tormentati dall'assenza: le estati afose in compagnia della fidata cagnetta Spertina, o con gli amici tutti insieme a rincorrere quel pallone giunto da Parigi, a fare il bagno in quella che è poco più che è una pozza di fango, a combinare guai con il cugino Mario o a scoprire la natura rigogliosa che attornia il fittizio paese di Hora (cittadina inventata dall'autore, sarebbe l'equivalente di Carfizzi in cui Abate è nato).
La nostalgia lusingatrice di un tempo andato e al tempo stesso reso doloroso dalla mancanza si eleva malinconico, un buco nero che l'affetto della madre e delle sorelle non possono riempire edifica un perenne stato d'attesa.
Marco in cuor suo somatizza scelte obbligate con gran sforzo, mentre la vita scorre costellata da gioie e da piccoli e grandi drammi, come la sua malattia o l'aggressione ad Elisa.
Abate dona voce a chi si è spaccato la schiena in un paese straniero offrendo sostentamento e dignità alla propria famiglia, eleva un affetto alimentato da una sorta di complice e rispettoso imbarazzo in cui non occorrono parole o gesti per comprendere la portata immane dei sentimenti.
Tuttavia l'amore non si imbriglia facilmente e infatti esplode nella catarsi natalizia: un abbraccio e un oggetto lanciato nel fuoco per confermare ciò che in fin dei conti trasuda da ogni pagina.
Il linguaggio particolare è di facilissima fruizione nonostante all'italiano si sostituiscano spesso termini dialettali o intermezzi in lingua arberesh (comunità d'origine albanese diffusa nel mezzogiorno e soprattutto in Calabria).
La magia dell'infanzia filtra il sacrificio di un uomo che è emblema di tutti i migranti; l' emozione quasi favolistica è mai banale o retorica, qui c'è tutto l'amore tra un figlio e un genitore.
C'è tutto l'amore del mondo.
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Felice che tu abbia gradito Francesca, a breve comincio William Sidis!
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Ho letto con partecipazione questa storia che mi sa coinvolgere...e poi termini dicendo che c'è tutto l'amore del mondo..troppo belloooo....
Bravissimo!
Pia