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La speranza non deve morire
Non si può certo dire che Ferdinando Camon sia monocorde, che i suoi scritti trattino sempre lo stesso tema e così, dopo aver dato alle stampe i romanzi del Ciclo degli ultimi, per intenderci quelli che parlano della scomparsa della civiltà contadina, ha osservato il mondo che lo circonda, la società che lo occupa, cogliendo, insieme con gli aspetti esteriori più significativi, le carenze di fondo, in un invito a meditare e, soprattutto, a cercare di cambiare le tante troppe storture. E’ il caso questo anche di Storia di Sirio, che sembra un’opera rivolta più all’attuale generazione giovanile, ma che interessa tutti, anche quelli più avanti negli anni, figli di quel dopoguerra che hanno accettato supinamente la civiltà industriale, quella dei consumi, salvo poi lamentarsi sterilmente. Un giovane deve necessariamente maturare attraverso le esperienze e Sirio è un emblema di questo processo, un prodotto tipico in cui la generazione attuale troverà non pochi punti di contatto. Ma finisce con l’essere un atto di accusa anche nei confronti dei genitori, ingabbiati, come i figli, in una struttura piatta che nell’illusione di uno sprazzo di benessere finisce con lo schiavizzare, con il rendere succubi a un sistema capitalistico impietoso che poco dà per togliere invece tanto. In questo quadro Sirio, figlio di un industriale, quindi di un capitalista, con quella voglia di aria nuova che è proprio dei giovani, prima si ribella al padre, avviando una serie di esperienze totali come una vita da sbandato con l’assunto che lavoro equivalga a schiavitù, poi prova l’ebbrezza del primo amore e la delusione che ne deriva quando questo diventa noia, e infine arriva all’autoanalisi interiore, quasi a voler dimostrare che qualsiasi aspirazione di cambiamento è inevitabilmente destinata alla sconfitta se non cambiamo prima noi stessi. Però, se è pur vero come dice Camon che si tratta di una parabola per la nuova generazione, ho colto altri motivi di interesse, forse nemmeno tanto impliciti, che l’uomo, scrittore, insegnante e padre, non può aver messo lì per caso o unicamente a supporto del suo discorso.
Camon, legato per nascita alla campagna e a quella civiltà contadina ormai scomparsa, vede nell’imperante capitalismo lo stesso nemico di Marx, ma ciò non vuol dire che lo scrittore padovano sia un comunista, perché la sua aspirazione volge più a una visione cristiana dell’esistenza, un’immagine a lungo costruita che vede ogni uomo padrone di se stesso nell’equilibrio di un mondo non più votato all’autodistruzione e dove ragione e sentimento si fondano in un unico anelito di umanità. In questo senso la sua ostilità per la città, per quella massa di condomini, alveari dove è raro che gli abitanti non solo s’incontrino, ma possano avere almeno un barlume di reciproca conoscenza, è una sua costante, perché rappresenta lo spossessamento dell’indole naturale degli esseri umani a comunicare e la supina accettazione di un ordine costituito in cui pochi dominano tutti gli altri. Questo aspetto è ripreso anche in Storia di Sirio e appare assai efficace, soprattutto quando il moto di rivolta avviene solo nella città, coinvolgendo studenti e operai e lasciando fuori gli abitanti delle campagne che pur in presenza di una civiltà industriale agricola riescono a mantenere ancora una, se pur ridotta, autonomia.
La mia impressione è che Storia di Sirio sia sì una parabola per i giovani, ma anche una confessione dell’autore per aver accettato pure lui, come tanti e come me, che si arrivasse a un mondo non a misura d’uomo e credo che in fondo quell’idea dell’autocoscienza sia una speranza che si è sempre portata in cuore, affinché ci possa essere ancora qualcuno che, con energia vitale, propria della generazione giovanile, possa concretizzare ciò che chi, ormai avanti con gli anni, non può più fare.
Da leggere e rileggere.
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Mi capita spesso dopo aver letto i tuoi commenti.
Un saluto
Laura