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Se questa è una guerra...
Dopo l'educazione siberiana appresa attraverso il comportamento degli adulti, carpita negli insegnamenti degli anziani, e più direttamente vissuta nelle crudeli strade della cittadina di Bender, il ragazzo di vita Kolima viene chiamato alle armi.
La disperazione e l' insofferenza si ergono potenti in partenza, si avverte un forte senso di ingiustizia mentre la sorte del giovane è decisa da militi indifferenti e da un generale arrogante. Finisce tra i sabotatori, gruppo elitario dell'esercito russo in cui è abbastanza facile lasciarci le penne.
Per Kolima la beffa è doppia, privato della libertà -come già accaduto in riformatorio- ma soprattutto servitore di quello stato inviso a lui e alla sua gente.
Divenuto cecchino viene assegnato ad un reparto impegnato nel conflitto ceceno.
Da questo punto in poi Lilin perde la testa e si limita ad un resoconto bellico di inammissibile mediocrità mista monotonia. Si glorificano le azioni del protagonista e del suo reparto, tra villaggi semidistrutti e scenari in cui la natura domina disinteressata alla follia umana; non vi è alcuna riflessione sulle brutture che attorniano i soldati, non vi è alcuna scansione dei loro pensieri, delle loro paure, delle nostalgie.
I personaggi sono poco più che macchiette, calati in un ambito quasi irreale tanto da far risultare la guerra come un gioco, in cui la morte aleggia per scherzo burlandosi dei meno coraggiosi.
Un romanzo buono magari come rapporto didascalico con dati bellici sciorinati tramite estrema freddezza, non come documento attestante la ferocia umana. Lilin annaspa patetico nel descrivere le sensazioni di un diciottenne caricato di armi, mandato lontano da casa e costretto ad uccidere; sembrerebbe condannare con ferocia ma finisce col farsi sopraffare dalla mera cronaca. Non vi è traccia di coscienza alcuna, uccidere o venire uccisi senza rimorsi in una visione involontariamente e goffamente nichilista e disillusa.
Come fa un giovane, per quanto avvezzo alla violenza, a trasformarsi in un batter d'occhio in killer spietato? cosa gli passa per la testa quando uccide? chi sono i nemici che combatte? perchè se odia il proprio governo lo serve senza fiatare pur capendo di essere solo una stupida pedina sacrificabile? Queste alcune delle tante questioni appena toccate e risolte in maniera ridicola dall'autore.
La presunta veridicità dei fatti è messa a dura prova, troppi gli errori tecnici di carattere militare inerenti armamenti e operazioni. Sempre basato su una serie di aneddoti il romanzo è scritto in modo asciutto e semplice, tipico dell'autore che scrive in una lingua non sua. Ciò tuttavia non può giustificare magagne facilmente raggirabili con qualche piccola accortezza (interpellare un esperto ad esempio).
Inoltre sembra davvero improbabile che un reduce racconti dell'incubo vissuto senza la minima parvenza di angoscia e orrore.
Questa volta il cantastorie della Transnistria non mi incanta.