Dettagli Recensione
Schiaffi e preti
Le “Quattro sberle benedette” (“suggellando la sua volontà con quattro sonori sganassoni”) di Andrea Vitali sono destinate – nel romanzo – a suscitare scalpore nella comunità bellanese. Corre l’anno ’29, quello della famosa crisi che ahimé apparenta quei tempi ai nostri, siamo in piena epoca fascista (“Voleva pagare a tutti i costi la tassa del celibato?”) e nel paesino sul lago di Como si celebrano le festività dei santi, dei morti e della Vittoria.
La storia ha per fulcro la locale stazione dei carabinieri: il maresciallo Maccadò è appena diventato papà di un bel bambino, ma è afflitto dallo spettro di un trasferimento-tormentone. Nella funzione di comandante lo sostituisce il brigadiere sardo Mannu, che deve far fronte alla rivalità dell’appuntato Misfatti e alla misteriosa serie di lettere anonime che sembrano riferite a Don Secchia (“il colorito da bicarbonato che aveva in faccia”), il coadiutore parrocchiale:
“Dalla casa di Cristo
senza essere visto
egli sfugge di sera
come fosse in galera”
Tra caserma, sacristia e canonica, il romanzo propone il consueto assortimento di personaggi del popolo, che interpretano scenette da teatrino e situazioni paradossali che si dipartono dalla vicenda principale: sembra che l’insignificante pretino (“Che era già brutto, e paceamen, un sacerdote mica per forza doveva essere bello. Ma era anche triste come un bel niente a cena”) frequenti la casa chiusa (chiusa si fa per dire, se anche un prete la può frequentare!) di Lecco, dalla quale dilaga un’epidemia di morbillo (“La faccenda delle signorine morbillose trasferite in fretta e furia dalla maison lecchese al rifugio dell’Arizona…”)…
Come sempre, il linguaggio di Vitali è infarcito di espressioni popolari (“un gesto dell’ombrello ampio e deciso”), neologismi (savasandir) e lemmi dialettali: così il becchino è il “soteramort”, il garzone è “il bocia”, graffiarsi diviene “sgarbellarsi” e “menare il torrone”… be’ sappiamo tutti cosa significa…
Divertente!
Bruno Elpis