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Ironia della psicoanalisi
La prima “anomalia” che si nota quando ci si accinge a leggere questo romanzo, è la particolarità e originalità dello stile narrativo: in pratica non esiste punteggiature e il tutto procede come un flusso di parole senza soluzione di continuità.
La vicenda è narrata in prima persona; il protagonista è uno sceneggiatore che in seguito alla morte del padre, malato di tumore, entra in una fase di depressione acuta che sconvolge la sua vita affettiva e lo induce alla sindrome ipocondriaca. E’ ossessionato dalle malattie, tra cui le neoplasie, che lo portano a continui controlli medici senza che gli stessi riescano a trovare e diagnosticare alcun segno di malore e malanni; quindi il risultato è una salute perfetta.
Ecco, allora, interiorizzarsi il famoso “male oscuro”, un male non fisico ma ancor più subdolo in quanto devasta l’anima. La decisione di intraprendere un percorso psicoanalitico fa scorgere al protagonista l’ombra del mal di vivere che ha come base il senso di colpa e il rimorso inerenti accadimenti e vicissitudini creati dal suo inconscio.
La lettura scorre veloce, quasi a perdifiato, in maniera, a volte grottesca, e con frequenti sfumature ironiche; la terapia psicoanalitica mette in luce un forte senso della morale, instauratosi fin dall’adolescenza, che è una delle cause degli attuali malori dell’anima scatenati dall’evento traumatico della morte paterna.
Il romanzo è stato scritto e pubblicato mezzo secolo fa, nel 1964, ma penso che possa ancora essere di estrema attualità.
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