Dettagli Recensione
Almaio
Alma: Intensa. Concentrata. Profonda.
Antonia: Testarda. Determinata. Molto incinta.
Una madre e una figlia, il dolore di una perdita e la voglia di risolvere quel mistero che ormai si cela da ben 34 anni è la molla di partenza di questo quarto appassionante romanzo di Daria Bignardi. Ferrara. Alma ha solo 17 anni quando propone al sedicenne fratello Marco, detto Maio, di provare, solo per una volta, l’eroina. Non doveva essere più di un gioco, un’esperienza, una cosa stupida da fare in gioventù per sentirsi forti, liberi, audaci nel passaggio tra i risultati di un anno scolastico e l’altro. Ma per Maio quello è stato solo il primo dei tanti “buchi”. Fino al giorno della sua tragica scomparsa. Era un fine settimana, Francesca la madre dei ragazzi, sveglia la giovane col timore che potesse essere successo qualcosa al figlio. “Hanno trovato due ragazzi morti di overdose questa notte e Maio non è ancora rientrato” – dice – “[..] Questo vuol dire che c’è in giro una partita troppo pura”- aggiunge. E se fosse successo qualcosa anche al fratello? Il giorno trascorre inesorabile ma di Marco nessuna traccia. Di lui non si sa e non si saprà mai più niente. Il vaso è ormai rotto; la famiglia si disintegra, 1000 e uno pezzi si sparpagliano inesorabili. Sei mesi dopo un altro duro colpo: il suicidio del padre. Altri 6 mesi dopo la morte della madre sconfitta da un carcinoma in soli due mesi. Nell’arco di 365 giorni Alma ha come unica compagnia il senso di colpa, per il resto è completamente sola. Un po’ per amore, un po’ perché vi identifica la figura paterna che ha perso ma che al tempo stesso non ha mai avuto sposa Franco, si trasferisce a Bologna e dalla loro unione nasce Antonia, detta Toni. All’oscuro di tutto fino al sesto mese della sua gravidanza la ormai trentenne non riesce a capacitarsi da un lato di come sia possibile che un mistero del genere sia stato custodito per così tanto tempo e dall’altro desidera scoprire i misteri di quel passato celato ma ormai rivelato, coltiva in sé la speranza di poter far chiarezza sulla scomparsa dello zio e di riuscir a dar sollievo ad Alma. Informa Leo, padre del bimbo che porta in grembo, che ha intenzione di recarsi a Ferrara e l’uomo, poliziotto, contatta un suo collega del luogo, Luigi D’avalos, dell’arrivo della sua compagna chiedendogli la cortesia di aiutarla per quanto possibile.
Lo scenario muta. Siamo a Ferrara, una città calma e tutt’altro che caotica, dove tutti si conoscono e sanno ogni segreto dell’altro, una cittadina ricca di quei tesori celati ogni sera dalla nebbia, la stessa che ha favorito la scomparsa di Marco. Come nei suoi romanzi polizieschi Toni inizia le ricerche dello zio e si stupisce di quanto riesce a denudare dall’inconfessato, tanto su Maio quanto sulla sua famiglia.
Incontra Michela, la prima fidanzatina di Marco, conosce la sua primogenita Isabella e si scontra con più realtà. Fino a che tutto inizia a prendere forma, i pezzi del puzzle principiano a combaciare, la nostra quasi-madre arriva al suo “tutto è successo perché”, “Maio è”.
L’opera di Daria Bignardi è come un magnete per un metallo: attrae il lettore e lo ipnotizza sino a che non è giunto a conclusione. Scritto con una penna ineccepibile, le pagine scorrono rapide alternando la narrazione tra le due protagoniste ed affrontando tante tematiche, non solo quella del dolore e del senso di colpa determinati dalla scomparsa del fratello tossicodipendente.
Le quinte si aprono abbracciando l’Italia in tutte le sue forme. Il passato ed il presente vivono e rivivono nel cuore e nell’animo del lettore, i protagonisti sono delineati con cura pur sé con tratti essenziali. Se da un lato viene presentata la relazione matrimoniale tra un uomo e una donna che si amano da sempre ma che appartengono a due mondi distinti e che sono incapaci di completarsi a vicenda, dall’altro abbiamo la realtà della coppia di fatto che ci viene mostrata nella sua semplice concretezza. La ricerca perpetua e naturale di quell’amore puro che si estrinseca nella sua genuinità fa da cornice alla narrazione e si contrappone alla paura di sé stessi e delle proprie reazioni. L’amore spasmodico nutrito tra i due fratelli ricorda a tratti quello sentito tra fidanzati, le piccole gelosie, il desiderio di non lasciare che l’altro si avvicini ad altri mantenendo quella dimensione di “nucleo”, è talmente reale che chiunque vi si può raffigurare. L’amore indissolubile che lega madre e figlia è come quel filo rosso che mai potrà spezzarsi: qualsiasi cosa accada, i due corpi, le due menti, le due anime sono collegate da un senso di affetto ed amore incondizionato. La figlia non può non correre dalla madre nel momento del bisogno come la madre non può non aiutare la figlia in difficoltà. L’autrice non è immune nemmeno dalle tematiche ad oggi più dibattute quali l’ateismo, il credere, le diverse fedi religiose e con grande delicatezza ci mostra ogni diversa verità, senza mai forzare l’una o l’altra.
Un quadro dell’Italia di ieri e di oggi. Al suo quarto romanzo Daria Bignardi ci offre una lettura piacevole, intrigante e ben costruita. La trama è scandita con ritmi incalzanti, le parole scorrono rapide senza mai risultare farraginose, le tematiche trattate sono varie ed offrono più prospettive di osservazione al lettore che se da un lato si sente nel 2014 dall’altro viene trasportato in quel degli anni ’70 e rivive o scopre un mondo che forse non ha mai veramente conosciuto o osservato. La parte conclusiva del libro è il “giro di boa” tanto atteso che affronta un nuovo scenario e trova risposta ai suoi interrogativi. Buon finale anche se intuibile. Un romanzo diverso dal solito, di cui mi sento di consigliare la lettura.
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