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Morte di un uomo felice
 
Morte di un uomo felice 2014-10-06 05:11:43 Bruno Elpis
Voto medio 
 
4.5
Stile 
 
5.0
Contenuto 
 
5.0
Piacevolezza 
 
4.0
Bruno Elpis Opinione inserita da Bruno Elpis    06 Ottobre, 2014
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La legge del taglione, anzi no

Alla reazione istintiva di Luigi Vissani (“La vendetta è la prima soluzione che ci viene in mente. E’ ovvio e naturale: la legge del taglione, no?”), figlio di una vittima del terrorismo, Giorgio Fontana – in apertura di “Morte di un uomo felice”, romanzo vincitore del premio Campiello 2014 – oppone la razionalità di Giacomo Colnaghi, “un magistrato brillante, che si occupava di lotta armata da tre anni: ancora giovane, aperto al dialogo e democratico, e per di più molto cattolico”.
Costui, prima di essere paziente e meticoloso professionista (“il sostituto procuratore Giacomo Colnaghi, del Tribunale di Milano”) che combatte lo stragismo (“infinite bande che cercavano d’imporre la propria linea, che ognuna considerava la sola e sacrosanta”) e cerca di comprenderne le cause, è stato studente modello (“Lui era la dimostrazione che anche in Italia ce la si poteva fare: che anche il figlio di un operaio ammazzato dai fascisti, quelli veri, poteva studiare e diventare qualcuno”) e figlio orfano di Ernesto, giovane operaio dissidente ucciso dalla violenza fascista.

All’interno del pool del quale fanno parte anche Micillo (“il sostituto procuratore, rampollo di un’antica famiglia di giuristi casertani”) e Caterina Franz, (“il giudice istruttore friulano…”), Colnaghi riesce – grazie alla collaborazione dei pentiti (“Anna Berti era una brigatista di ventisette anni che aveva accettato di collaborare con la giustizia”) – a individuare e catturare il responsabile dell’attentato a Vissani, tra eventi reali e immaginari che sezionano gli anni di piombo sfiorandone i principali misfatti (“Ti ricordi di quando le Br hanno rapito Sossi?”).

La vita familiare e professionale di Giacomo, il passato e l’assenza del padre ribelle (“il suocero beveva molto ed era amico del podestà, gli zii erano dei paolotti schifosi”), i conflitti generazionali (“Tempi in cui i padri e i figli si mettevano in guerra. Tempi brutti, si disse. Tempi orrendi”), le amicizie, gli impulsi culturali opposti (“Forse era quello il comunismo? Lasciare che le cose tornassero al loro stato naturale?”) si fondono nel sincretismo del cattolicesimo convinto del protagonista in una dimensione personale (“Non capisco come fai a essere così contento”) che alla fine prende il sopravvento narrativo sulla ricostruzione delle dinamiche storiche.

Nel finale (“29 luglio 1981… c’era il matrimonio di Lady Diana d’Inghilterra”) – collocato simbolicamente nell’anno di nascita dell’autore – confluiscono i destini tragici di papà Ernesto e del figlio Giacomo, quasi a significare l’imperscrutabilità di destini diversi, sempre uguali nella molteplicità delle passioni, drammaticamente impigliati agli enigmi socio-esistenziali.

Bruno Elpis

Nella sezione “interviste” di www.brunoelpis.it trovate la mia intervista all’autore.

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Commenti

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ciao Bruno, noto dalla votazione alta che hai apprezzato anche tu il romanzo; corro a leggere l'intervista...
Interessante recensione, Bruno.
Dal punteggio attribuito, deduco che a volte i premi letterari servono a mettere in evidenza autori e libri che altrimenti avrebbero corso il rischio di perdersi nell'affollamento della produzione editoriale.
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