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Donna Fòscari
Sicilia negli anni Cinquanta, Viola Fòscari signora benestante ha il dono della bellezza che ancora prorompe nei suoi quarantanove anni. Esempio di eleganza e rettitudine, non c'e' donna al piccolo paese che non osservi velata d'invidia quei morbidi capelli neri e gli occhi blu e quel corpo sinuoso di giovinezza.
C'e' una solitudine che assale una donna lontano da ogni apparenza, si insinua segreta nelle giornate di silenziosi singhiozzi, nelle notti in cui il marito ronfa stancamente, nei momenti di consapevolezza di figli grandi che se ne vanno.
Viola si tinge ogni giorno di cenere, finche' un diavolo innocente non si impone nella sua vita. E con la forza e la testardaggine di ragazzo distrugge ogni barriera, ogni difesa verso un appassionato oceano di futuro mozzo.
Belle da impazzire le ambientazioni di Tea Ranno, ci sono luoghi che incantano dai limoneti al mare; la casa di donna Fòscari pare uno scrigno nella grotta di Alì Baba' coi suoi arredi di vecchia dimora dove legno, porcellana, argento, pupi e broccati si fanno anima. Una grande stanza che si affaccia sul mare, il cielo e gli aranceti.
La storia tende spesso a rallentare e soffermarsi troppo a lungo sugli stessi concetti, anche se quanto il troppo sta per storpiare, l'autrice aumenta il ritmo e salva il lettore stagnante.
Ottima e affascinante la stesura dei personaggi secondari che si infilano nella vicenda e la arricchiscono in continuazione, incantando.
Sarei stata pienamente soddisfatta del libro non fosse per quelle ultime pagine orribili. Ma i bilanci si fanno a libro finito e se una piccola parte annulla tutto cio' che e' stato prima, io ne devo tenere conto, non sono un critico, sono un'emotiva.
La violenza gratuita mi accende di rabbia anche in narrativa, specialmente quando e' assolutamente inutile ai fini del racconto perche' alla follia eravamo gia' arrivati, sull'altare della giustizia sarebbe sensato mettere uomini contro uomini, giudici di fronte a colpevoli. Di un'inutile, stupida, cruenta cattiveria e' gia' sazio il mondo.
Interdetta ed iraconda dopo lo sviluppo finale, di questo libro che mi pareva buono e dal cui epilogo ero pronta a tutto fuorche' all'imperdonabile, ora posso dire che non solo non lo ricomprerei, non solo non lo rileggerei, ma nemmeno manterro' questa copia nella mia libreria.
Lontano il piu' lontano da me.
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la tua sincerità, la tua emotività rinsaldano il mio affetto. :-)
Credo di comprendere cosa dici (a livello intuitivo)...
b
A me una cosa cosi' non era mai successa. Comunque sia so di avere i miei punti deboli che si portano via la criticita', quindi aspetto di leggere i prossimi commenti.
Cio' detto lo scrittore e' un dio nella sua narrazione, decide vita morte e miracoli dei suoi attori.
Poi arriva la legge del mercato, nel momento in cui pubblica, ed il testimone divino passa al lettore. Che investe tempo e denaro nel libro, che ha un proprio gusto ed una propria sensibilita', che decide vita o morte dell'opera appena letta.
Il mio giudizio sul volume e' quello scritto nel commento, lo ribadisco ed e' insindacabile.
Ho comunque ceduto la mia copia a un altro utente, in modo che sul sito emerga anche un altro parere.
"Bellissima, non è vero? E intelligentissima. Le manca solo la parola... Secondo te ce l'ha l'anima? La possiede la ragione, la sensibilità?" Così gli diceva continuando a carezzare la cagna sopra la testa, con un amore particolare, COME SE FOSSE UNA CREATURA CON CUI DAVVERO SI SCAMBIAVA L'ANIMA.
Non a caso la sua morte mi ha fatto pensare all'uccisione dei figli di Giasone e Medea per mano di quest'ultima. Anche in quel caso è l'adultero Giasone che Medea vorrebbe uccidere e forse anche un po' se stessa, cioè la parte di sé che lo ha amato. Così uccide il frutto del loro amore, colpendo in tal modo entrambi. Ora quindi vi chiedo: un infanticidio perpetrato per di più da mano materna non è quanto di più brutto, cruento, insensato, scellerato ci possa essere? Sicuramente sì. Ma ciò equivale a dire che Euripide è stato gratuito nel raccontarlo? Io non credo. Così come non lo è stata Tea Ranno, cui semmai va riconosciuto il merito di riuscire a calarsi nei panni di uomini e donne certamente assai diversi dalla sua persona e tuttavia drammaticamente autentici, financo nelle loro più becere meschinità (v. anche Roberto Cannavò, come pure Ottavio Licata "Giufà" della Sposa Vermiglia).
Questo è il mio modesto parere. Non pretendo di cambiare il suo, vorrei solo far sapere che esistono altre possibili interpretazioni di uno stesso finale (tra l'altro non scordiamoci che Vittorio Russitto, dopo aver toccato con quel gesto la brutalità più efferata, giganteggia invece nelle ultimissime pagine).
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