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Di quest’acqua io non ne bevo
Ammaliati dal fascino di una Sardegna anni cinquanta ci perdiamo tra vigneti e campi di grano, accarezzati dalle piacevoli brezze che spirano dal mare portando le strida degli uccelli e spargendo nell’aria l’odore delle stoppie tagliate. Ci tuffiamo in un mondo pieno di calore e colore, dove tradizioni forti e radicate nel tempo regolano ancora la vita dei piccoli centri di provincia come Soreni. Circondati dai succulenti profumi di pane caldo e fichi infornati, di gueffus, di porcetto e di culurgiones conosciamo i riti del fidanzamento, del matrimonio, dei funerali e del lutto, le figure centenarie dell’attittadora, dei fill’e anima e dell’accabadora. Trasportati dalla penna dolce e sensibile di Michela Murgia e dal suo linguaggio curato e arricchito dalle inflessioni dialettali ci troviamo coinvolti in storie di terre che parlano di chi le possiede, di asti, invidie e rivalità che ergono confini di basalto nero, di muri che piangono e camminano, di fucili che sparano con troppa facilità. Entriamo nella vita di Tzia Bonaria e della piccola Maria, eterna vedova l’una ed eterna ultima l’altra, legate da un sodalizio che va al di là del normale rapporto tra madre e figlia. L’anziana sarta però nasconde un segreto che, quando verrà scoperto dalla ragazzina, provocherà tra le due una rottura apparentemente insanabile. Ma nel momento del bisogno i contrasti verranno messi da parte e l’amore e la devozione che legano Maria e Bonaria avranno la meglio. La ragazza saprà saldare il suo debito di fill’e anima, valuterà diversamente la controversa figura della madre adottiva e comprenderà finalmente ciò che la donna intendeva dirle quando, tre anni prima, nel momento della sua partenza, la salutò con queste parole: “Non dire mai: di quest’acqua io non ne bevo”.
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A me il libro e' piaciuto poco: la storia, che l'autrice voleva narrare, poteva essere contenuta in un racconto. Avendone fatto un romanzo, la vicenda-base e' stata annacquata; qualche brutto capitolo mi pare aggiunto, come quello quasi 'verghiano' sui due personaggi giovani, ancora ragazzini, per non parlare di quello, assurdo, ambientato a Torino. Inoltre mi pare di individuare una 'connivenza' ideologica autrice-anziana protagonista: che delusione!