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Un romanzo solo di discreta qualità
L’evocativa foto della copertina, il risvolto della stessa che anticipa i tratti del romanzo, evidenziando una grandiosa saga familiare dagli inizi del ‘900 fino a quasi ai giorni nostri, il Campiello ottenuto nel 2012 sono stati tutti elementi che mi hanno invogliato a leggere questo libro, pregustando, mentre ne terminavo un altro, quello che pensavo avrei trovato in La collina del vento.
E così ho letto, appassionandomi all’inizio a questa storia di contadini che non solo lottano per trarre dal terreno dissodato il necessario per vivere, ma anche, a loro modo, combattono per difendere una dignità che discende dall’amore per la natura, per quell’equilibrio perfetto delle cose che la cupidigia di alcuni uomini cerca di distruggere.
La collina del Rossarco, tanto faticosamente acquistata e poi difesa, assume i simboli del mito e per la famiglia Arcuri non è solo la proprietà, ma la madre, al contempo fonte di reddito, riparo sicuro e segno tangibile della perfezione del Creato.
Tutti questi elementi, come nella ricetta di un cuoco, se perfettamente amalgamati non potrebbero che sortire un risultato di grande qualità, un’opera non solo piacevole da leggere, ma che lascia un segno profondo.
Purtroppo, però, non bastano solo le buone idee, perché occorre la capacità di concretizzarle, facendolo nel miglior modo possibile. Abate, come scrittore, non è uno sprovveduto, ha buone capacità, forse anche eccellenti, ma in questo La collina del vento secondo me non è riuscito a proporsi al meglio.
Mi dispiace dirlo, ma o l’autore ha sprecato una grossa occasione, oppure non è riuscito a fare di più. Può però anche darsi che un’ipotesi non escluda l’altra, perché di materiale interessante ne aveva tanto a disposizione, ma non è riuscito a sfruttarlo nel migliore dei modi. Per esempio il rapporto mistico fra l’uomo e la natura, fra gli Arcuri e questa collina sul cui terreno si spezzano la schiena è appena accennato, mentre invece ricorre ogni tanto, e la soluzione ci sarà solo alla fine, un aspetto “giallo” di cui francamente si sarebbe potuto fare a meno. La vicenda c’è tutta, ma tre tragedie collettive come la prima e la seconda guerra mondiale e il ventennio fascista sembrano del tutto casuali, tanto poco Abate se ne è avvalso nella narrazione. Per quanto concerne questa, se lo stile è sobrio, con ogni tanto qualche inciso quasi poetico, presenta però un andamento lento e una logica di sequenze che a un lettore attento lasciano presupporre in anticipo quello che poi accadrà. Ai personaggi, pur di notevole interesse, è poi dedicata una descrizione sommaria, senza una precisa e attenta indagine psicologica, del resto non necessaria visto che sono o solo buoni o solo cattivi, circostanze che non si verificano mai nella realtà. In più di un’occasione ho avuto l’impressione di trovarmi davanti alla sceneggiatura di una telenovela, il che mi ha anche un po’ infastidito, visto che la rara spontaneità è stata sovente accompagnata da una marcata artificiosità, tipica di quella letteratura prettamente d’evasione volta ad accattivarsi solo il pubblico e non anche a incantarlo con qualche cosa di nuovo, con approfondimenti sul senso della vita, sulle relazioni interpersonali o con altri elementi realmente costruttivi che sono indispensabili per poter arrivare a un’opera di vera eccellenza.
La collina del vento si lascia certamente leggere, ma, nonostante l’ambito premio ottenuto, è solo un romanzo discreto, incapace di lasciare una traccia significativa e indelebile.