Dettagli Recensione
Ecco un esempio di vera letteratura
Come spesso mi capita, leggo un incipit di Mari e mi allontano infastidito. Il motivo? Ostentatamente “barocco” e “artificioso”, molto simile a un gomitolo di filo narrativo che si attorciglia sempre più, sino al punto che viene voglia di tagliarlo e proseguire. E’ quello che faccio con i romanzi di Mari e che in genere – ovviamente vale per me – funziona. Tagliato l’incipit si precipita letteralmente nella storia e non se ne esce più. Verderame è semplicemente un pezzo di vera letteratura. Partiamo dai protagonisti: Michélin e Felice. Michélin non è altri che l’alter ego di Mari, l’eterno fanciullo... ma che non ha nulla a che vedere con il fanciullino pascoliano… qui l’infanzia è riempita di mostri. Felice, che lavora come contadino presso i nonni di Michélin, è uno di questi mostri. Felice, nel suo incantevole dialetto, sta perdendo pezzi di memoria e Michélin decide di aiutarlo. Una ricerca nel passato che si trasforma in una ricerca nel subconscio. Lo strumento principe è la parola e la sua incredibile forza di rompere gli schemi “razionali” e attraverso un’apparente insensatezza giungere all’essenza delle cose, ma che non appena cerchi di afferrare-rinchiudere-catalogare-definire ecco che ti sfugge ancora.
Il solo aspetto debole è a mio avviso nelle “rivelazioni” dei fatti passati che compaiono nel dialogo tra Michélin e Carmen piazzato verso la fine. Sinceramente come lettore non ne sentivo il bisogno. Per un po’ l’atmosfera favolistica, misteriosa e maledetta di Verderame s’interrompe. Tolto questo “peccato veniale di razionalità narrativa”, il resto è grande letteratura.