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Morte di un uomo felice di Giorgio Fontana
Un romanzo in cui la narrazione procede su due diversi livelli, pur conservando una sostanziale unitarietà. L’autore alterna capitoli dedicati alla storia del giudice Giacomo Colnaghi a capitoli in corsivo che rievocano la storia del padre del magistrato, l’Ernesto. Le due vicende, molto diverse per il periodo storico a cui appartengono, quello degli attentati delle Br negli anni 80 nel primo caso, e quello della lotta partigiana del dopoguerra nel secondo, hanno, tuttavia, molte analogie per lo meno per ciò che riguarda le conseguenze dolorose che porta con sé ogni lotta armata.
Lo spunto è offerto dall’ormai noto luogo comune che voleva assimilare l’azione delle Br a quella dei partigiani. L’argomento è già stato ampiamente affrontato negli anni successivi al terrorismo, ma qui l’autore vuole, io credo, porre l’accento soprattutto sulla questione morale che investe i giudici e la giustizia.
Giacomo Colnaghi viene descritto come uomo integerrimo, cattolico, democristiano convinto che ama il suo lavoro e lo fa con coerenza e onestà, portando con sé in ogni momento l’immagine del padre, morto eroicamente per mano fascista.
Un uomo felice, apparentemente. Tormentato da dubbi e incertezze in realtà. Ed è proprio la sua fede che pone degli interrogativi di fondo a cui non ci si può sottrarre. Come conciliare il concetto di pietà e misericordia predicato dal cristianesimo con il dovere di amministrare la giustizia degli uomini senza tentennamenti o debolezze?
Interessante, a questo proposito, il dialogo tra Colnaghi e la Borghi, insegnante di teologia all’università di Genova. Se, dunque, amministrare la giustizia non è mai semplice, ancora più problematico può esserlo per chi debba fare uno sforzo aggiuntivo per separare la sfera della fede da quella propriamente laica.
Il personaggio Colnaghi-giudice non può in nessun caso essere considerato separatamente dal Colnaghi-uomo che porta con sé l’immagine eroica di un padre che non ha conosciuto, immagine che non può e non vuole in nessun modo associare a quella di un terrorista della sua epoca. Il suo lavoro sarà ulteriormente motivato da questa esigenza morale che lo porterà a un confronto diretto con uno dei brigatisti arrestati.
Un romanzo nel complesso interessante, che nella seconda parte, tuttavia, pecca di originalità, nella misura in cui privilegia temi cari al buon senso comune.
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Poi, per quanto riguarda la mancanza di originalità e il buon senso comune, pur non avendo letto il libro penso che non sempre siano da biasimare. La letteratura è così piena di gente che vuole stupire, che qualche volta una pagina ben scritta che ci riporta con i piedi per terra non è proprio da buttare via ...
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