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Il visc onte di Terralba
Il visconte dimezzato è una favola allegorica scritta da Italo Calvino nel 1952, appartenente al filone fantastico e riunita insieme a “Il Barone rampante” e “Il Cavaliere inesistente”, nel 1960, nella raccolta “I nostri antenati”.
La vicenda ci porta in una terra dimenticata (la Boemia) e in un’epoca lontana, (che è quel ‘600 fitto di guerre di imperi di diverse religioni) dove il Visconte Medardo di Terralba insieme al suo fido scudiero di appresta a combattere la sua battaglia contro i Turchi, ma viene colpito in pieno da una palla di cannone che gli divide il corpo in due esatte metà, una delle quali verrà data per dispersa, mentre l’altra, con la chirurgia e tanta fantasia dell’autore, verrà salvata dalla morte ovvia.
Il vero protagonista della vicenda, e narratore di essa è però il piccolo nipote di Medardo, del quale mai sapremo il nome, che vive giorni felici in compagnia di fumettistici personaggi, a caccia di fuochi fatui e di ‘cose da ragazzini’, nel paese di Terralba, dove il mezzo corpo del Visconte vi fa ritorno. Ma ben presto nel villaggio una serie di sventure si abbattono tra i suoi abitanti, e tutte hanno come firma oggetti dimezzati, una losca figura dal mantello nero, e tanta cattiveria. Solo l’arrivo della metà “buona” del Visconte, data per dispersa, riuscirà a dare di nuovo un equilibrio alla situazione, che culminerà in uno scontro all’ultimo sangue ed un finale tanto fantasioso quanto poetico.
L’intento di Calvino, a differenza di quanto si possa pensare ad una prima lettura, non è una semplicistica scissione tra bene e male con quest’ultimo che, come nelle migliori fiabe, ne esce sconfitto, bensì un’allusione alle componenti contrastanti della personalità umana, e l’idea di base che si può trarre una più profonda conoscenza della realtà solo attraverso la scissione.
La scrittura usata da Calvino in questo racconto, ricorda molto quella dei poemi cavallereschi, a partire dall’ Orlando furioso, o anche al Don Chischotte, o meglio La Gerusalemme Liberata (che tra l’altro, come in un cameo, comparirà durante il primo incontro/scontro tra i due “mezzi visconti”), il che comporta un immersione ancora maggiore in quest’opera che, come detto è solo del 1952, ma che sembra saltar fuori proprio dal XVII secolo.
I personaggi, soprattutto quelli di contorno, sono l’elemento cardine su cui gira tutto il racconto, che, è meglio specificarlo, non punta dritto per dritto sino alla conclusione, ma si concede le sue pause narrative, si stagna, si ammira allo specchio e si compiace tal volta, con dei virtuosismi che ho ritrovato anche in altre opere dello stesso autore. Ma tutto ciò sarebbe stato vacuo senza lo spessore dei personaggi di contorno; e così che il racconto prende colore con la stramba figura del dottor Trelawney, malato del tressette e del vino “cancarone”, che è poi tutt’altro che dottore, sempre alla ricerca di fuochi fatui, o ancora Pamela, rozza contadina sempre accompagnata da un’anatra e una capra, che non mancherà di rendersi protagonista, o ancora Galateo il lebbroso e il suo paese di lebbrosi, Pratofungo, nel quale verrà cacciata pure Sebastiana, balia di generazioni di Terralba.
Di grande effetto mi è sembrata la descrizione (e la morte) nei primissimi capitoli del padre di Medardo, Aiolfo e della sua passione per l’ornitologia, e senza dubbio il finale che non voglio svelare, ma che è una perla di stile sopraffino.
Il Visconte dimezzato è una fiaba di grandissimo spessore, non è immediato capirne il significato che passa in secondo piano rispetto alla narrazione fantastica, che insieme ai personaggi di ottima caratterizzazione, riesce a donarci un piacevole racconto che ci strapperà un sorriso nel finale, tra i sui risvolti, i suoi addii, e i suoi fuochi fatui.
“Alle volte uno si crede incompleto ed è soltanto giovane.”
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