Dettagli Recensione
Top 500 Opinionisti - Guarda tutte le mie opinioni
Il mio cuore umano di Nada Malanima
Nella Toscana degli anni ’50, attraverso gli occhi che “sanno guardare distante” e i sentimenti di una bambina, Nada, l’io narrante, si dispiegano i ricordi della prima fanciullezza segnati da una sensibilità affinata dagli eventi famigliari. Per chi ha vissuto quegli anni a cavallo tra i ’50 e i ’60, ritrova il profumo lontano, ma, ancora, forte di un tempo irripetibile di trasformazioni economiche e sociali di grande impatto emotivo. La televisione, “La scatola parlante”, al circolo dell’Arci si andava a vedere il sabato il varietà, vissuta come rito collettivo, le vespe sostituite dalle automobili, i servizi igienici in casa… Da una società arcaica, contadina, ritmata dai cambiamenti della natura ad una società industriale che pulsa al ritmo della invenzioni e delle modernità. C’è incanto e stupore di altri tempi ormai mitizzati perché legati a stagioni della vita in cui la scoperta del mondo famigliare e circostante è preludio alla ricerca di se stessi e al perché della propria esistenza. La protagonista vive gli umori, gli amori, le sofferenze e anche le bizzarrie dei suoi famigliari con estrema sensibilità e tanto bisogno d’affetto materno non sempre elargito semplicemente. All’ombra della madre bella, ma sofferente di nervi, di un padre poco incline al dialogo, della sorella tanto amata, della nonna Mora, ruvida di modi, ma ricca di genuina saggezza contadina, Nada, bambina magra e fragile, attraversa l’infanzia solitaria, piena di incubi e scuri pensieri che nessuno conosceva per approdare all’adolescenza in cui il suo cuore, un normale “Cuore umano” moltiplica sensazioni e stati d’animo. E’ un racconto che fluisce limpido come un ruscello di montagna che a tratti, ma solo, a tratti, s’intorbida, non s’avverte nostalgia, piuttosto traluce la semplicità quotidiana del mondo reale: i più intimi e semplici legami tra le persone, un mondo dietro cui si nascondono altri mondi possibili. Uno sguardo il suo che con sofferta acutezza amplia l’orizzonte conoscitivo ( si rifugia nella scrittura poetica, nei libri) riflettendo sul senso dell’esistere, della morte. Sorprende la scrittura piana, lieve, scevra da infarciture retoriche, essenziale senza indulgere in paradigmi stilistici complessi e spesso, segni di meri esercizi letterari.