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Lettura consigliata
Beatrice e Alfredo crescono loro malgrado, insieme, in un luogo in cui regna l’abbandono e il degrado, dove le istituzioni non entrano e anzi sono osteggiate, invitate a stare fuori dagli schemi precostituiti. L’ambientazione è la periferia, quella in cui lussureggiano piccoli crimini, tanta omertà ma anche quella in cui è impossibile non trovare l’umanità più pura, l’indiscutibile solidarietà che accomuna i disperati. La periferia da cui la speranza non è mai stata accarezzata. Per le descrizioni, per la cupezza delle immagini evocate, per la fiacchezza degli animi da cui è imperversato, il romanzo mi ha ricordato “ACCIAIO” di Silvia Avallone e almeno per tutta la prima parte del libro ho avuto un atteggiamento scettico al riguardo. Due scrittrici emergenti quasi coetanee che collocano una storia tragica in un sobborgo, che focalizzano l’attenzione su una storia di amicizia dalle multiformi acrobazie e che provano a dare vita ad un racconto dal ritmo incessante, hanno la colpa senz’altro di provocare un raffronto. Se Silvia Avallone mi ha fatto stare male, mi ha angosciata fino alla fine con la storia di Anna e Francesca, Valentina D’Urbano parte con un finale già scritto. Sappiamo cosa succede ad Alfredo dalle prime pagine e ci costringe a volergli bene da subito, a capire immediatamente che è un ragazzo contro cui non è possibile avanzare alcun giudizio, che ha sofferto dalla sua prima infanzia.
E’ cosi che prende vita autonoma “ il rumore dei tuoi passi”. Beatrice e Alfredo si appartengono e avranno sempre un filo conduttore che li legherà nella vita. Beatrice a Alfredo si ameranno e si odieranno fino alla fine dei giorni di Alfredo, e dopo e percorreranno un viaggio assurdo e doloroso e cresceranno in fretta senza punti di riferimento degni di ispirazione eppure resteranno aggrappati alla vita il più possibile. Prenderanno consapevolezza di quello che rappresentano l’uno per l’altro ma non conosceranno mai la maniera per dirselo con delicatezza, come un sentimento cosi puro meriterebbe, non sapranno non farsi del male.
Valentina D’Urbano sceglie di buttarsi e percorrere tramite i due protagonisti la strada della tossicodipendenza e l’altalena tra speranza e sconforto che la stessa comporta. Persevera con la verità fino alla fine e non da alcuna speranza di lottare per la salvezza. Perché come lei, credo che dalla dipendenza non ne esci, non ne esci mai anche quando lo scorrere del tempo ti fa pensare al contrario. Ed è coraggioso, scrivere una storia come questa quando le convenzioni, la società ti impone di negare l’evidenza, di credere che il modo per uscirne c’è. Esiste quando vuoi salvarti, non quando credi che esiste solo la morte ad accompagnarti.
Ecco cosa la scrittrice scrive al riguardo: “Non lo so, forse era l’ambiente che ci aveva prodotti. Forse ce l’avevamo nel sangue. Forse era la gente che frequentavamo, la noia, la mancanza di obiettivi.
La consapevolezza di non poter essere mai niente di diverso, la presa di coscienza che saremmo stati così per tutta la vita”.
Percorre con il lettore passo dopo passo la vita di molte madri, sorelle , mogli e fidanzate che si convincono di poter salvare qualcuno o qualcosa ma dentro di loro cresce il razionale sconforto di chi avvicina alla sconfitta eppure lotta con tutta la dignità di chi ha bisogno di mettersi in gioco e provare. Si lasciano trascinare nell’abisso delle terapie, delle medicine, degli sbalzi di umore e dei crolli psicologici, delle fughe e dei furti. E poi si rassegnano, soprattutto si allenano al dolore che le aspetta, e vanno avanti fino a quando tutto diventa reale e scoprono che i loro sforzi non sono serviti a niente. E davanti alla realtà provano un dolore che non avevano mai nemmeno potuto immaginare e a fare male sarà soprattutto il senso di colpa, l’impotenza davanti al mostro dell’abbandono, della solitudine.
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Forse non hanno conosciuto le persone giuste per essere riportati a galla.
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