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Un'iniziazione alla vita
Alla soglia dei suoi ottant’anni, Camilleri decide si prendersi una “vacanza narrativa”, come lui stesso scrive nella prefazione, dal commissario Montalbano. Nonostante ne neghi i tratti autobiografici, la dimensione in cui ci conduce con La pensione Eva è quella della memoria.
Tutto ruota attorno ad una pensione di Vigata che in realtà è, come si diceva un tempo, un “casino”: oggetto di fantasticherie più o meno favolose del protagonista bambino (che dentro ci abitino le “fatuzze bone”?) e poi delle fantasie e dei desideri di Nené divenuto adolescente, attorno alla pensione avviene la formazione del protagonista all’età adulta.
E’ un’iniziazione non solo al sesso, ma alla vita: grazie alla rotazione quindicinale delle “picciotte” della pensione, Nené e i suoi amici Ciccio e Jacolino imparano a conoscere il mondo e a capire la vita. I racconti delle ragazze, i caratteri che si alternano sul divano dei clienti costituiscono quasi dei siparietti di avanspettacolo – che sembra presente, come modello di rappresentazione della realtà, dietro la narrazione di Camilleri – che svelano il lato grottesco, ma anche quello tragico, della vita nell’Italia del fascismo. Un osservatorio privilegiato che non può sottrarsi a lungo ad una realtà in cui non si scherza affatto, in cui le bombe e i morti sono veri: con lo sbarco degli Alleati, Vigata viene a trovarsi sulla linea del fuoco.
La stessa pensione Eva viene spazzata via, lasciando il sospetto che essa non sia mai veramente esistita, che non sia stata che un sogno. Lascia però una scia, quella di un profumo e di una storia d’amore più forte della morte.
Non un capolavoro, ma una lettura assolutamente godibile.