Dettagli Recensione
"Tenere" dieci anni dentro un corpo imbozzolato
Un’estate lontana cinquant’anni e un tempo, quello dei dieci anni, non più bambino, sospeso nell’attesa di quella metamorfosi che dal bozzolo immobile tirerà fuori il corpo dell’uomo. Un’estate sospesa, tra l’osservazione compassionevole degli adulti piagati dal lavoro, ancora feriti dalla guerra o in fuga verso l’altrove, come il padre del protagonista che si è perduto in un altro continente all’inseguimento di un sogno. Finché nella calma assolata dell’isola in cui il protagonista trascorre le vacanze, tra il ritmo lento e solenne del mare e della pesca irrompe l’imprevisto, l’incontro con la ragazzina, le sue mani che “mantengono” e curano, con l’amore che è anche sangue e ferocia, che innesca dal di dentro il cambiamento del corpo.
Nel romanzo-memoriale di De Luca il tempo non ha un andamento lineare, fluisce avanti e indietro, inseguendo verso il futuro l’evoluzione dei semi gettati nel passato e intrecciando un colloquio a distanza non solo tra l’uomo adulto e il bambino del passato, ma anche tra tutte le possibilità di uomo che quell’estate di cinquant’anni fa dischiuse.
De Luca conferma la sua felicità di penna, che dietro l’apparente semplicità ha la capacità di rivelare, per lampi di intuizione, luoghi e stati profondi dell’anima (un esempio tra tanti: “tenevo dieci anni. Per dire l’età, il verbo tenere è più preciso. Stavo in un corpo imbozzolato e solo la testa cercava di forzarlo”). Anche se a volte eccede un po’ con i rimandi in profondità di metafore e similitudini da rompicapo (“esiste nel corpo la neve che non si squaglia in nessun ferragosto, rimane dentro il fiato come il mare dentro una conchiglia vuota”: ?).