Dettagli Recensione
La parabola discendente della signora A.
Se dovessi liquidare questo romanzo con due parole non avrei dubbi sul termine da usare: una lagna. Ma forse lo stile e i contenuti di Paolo Giordano meritano qualcosa in più, al di là della modesta piacevolezza dell'opera.
La scrittura è scorrevole e non priva di qualche spunto originale, ma le emozioni non arrivano, personaggi e trama mancano di verve, restano piatti e non riescono a saltare fuori dalla pagina scritta. I dialoghi sono pochi e il monologo per lo più ininterrotto dell'io narrante appesantisce ulteriormente l'insieme.
La figura della signora A. (l'iniziale spersonalizza e scoraggia da subito ogni trasporto nel lettore) suscita stranamente più insofferenza che simpatia, malgrado venga più volte ribadito il suo ruolo di quasi-nonna e quasi-madre nella famiglia in cui lavorerà per diversi anni.
Chiamata affettuosamente Babette, è la balia tuttofare di Emanuele, figlio di una giovane coppia non troppo bene assortita: lui fisico con un incarico universitario a tempo determinato, lei architetto; lui che si crogiola nel suo umor nero, lei “argento fuso, il più bianco fra i metalli, il migliore fra i conduttori, il riflettente più spietato”.
Sarebbero state interessanti le dinamiche di un matrimonio dove il marito si definisce attaccato alla moglie “come una sanguisuga che succhia la vita altrui”, peccato che la struttura portante del romanzo resti l'onnipresente signora A., che oltre ad occuparsi del bambino e del ménage domestico finisce per diventare l'elemento di stabilità fra i due coniugi, quella che appiana i diverbi prendendo decisioni al posto loro.
Il cancro che colpisce Babette e il suo conseguente declino fisico e psicologico (le drammatiche fasi della malattia vengono scrupolosamente descritte) mettono in luce tutte le crepe di un rapporto che senza la solida e rassicurante presenza della donna tende ad arenarsi:
“A lungo andare ogni amore ha bisogno di qualcuno che lo veda e riconosca, che lo avvalori, altrimenti rischia di essere scambiato per un malinteso”.
Spiegazione peraltro contraddetta verso la fine da una frase più realistica e carica di disillusione:
“Eravamo, a dispetto delle nostre speranze, insolubili l'uno nell'altro”.
La crisi resta comunque in condizione sospensiva, visto che ciò che più preme raccontare allo scrittore è la parabola discendente della signora A., tra l'osservazione dell'uomo di scienza, con tanto di termini tecnici, e l'emozione impacciata di un padre e un marito non sempre all'altezza:
“Le persone si allontanano, le persone se ne vanno e basta. Per sempre”.
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Commenti
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Dell'autore ho letto soltanto la sua opera prima, baciata da travolgente successo, di cui riconosco vero talento solo nella prima parte. Pertanto ho atteso prima (e se) affrontare le successive. La tua recensione mi suggerisce di attendere ancora!
@Emilio: a me La solitudine era piaciuto, ma bissare un successo non è mai facile.
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