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Uno splendido viaggio tra le nostre radici.
Scritto nei primi anni della carriera artistica dell'intellettuale italiano Pier Paolo Pasolini, e pubblicato solo in un secondo momento, sul finire della sua vita narrativa, "Il Sogno di una Cosa" propone alcuni dei temi fondamentali della poetica dell'autore nato a Bologna.
Storia di terre friulane all'indomani del secondo conflitto mondiale, il romanzo narra dell'amicizia fra tre giovani provenienti da paesi vicini, tra sagre di paese, sbornie, povertà e fame, dove la campagna nord-italica copre un ruolo principe, con i suoi colori, i suoi ritmi, i suoi valori.
I personaggi, concreti al punto da spingere a vere lacrime e veri sorrisi, si muovono nell'eterna ciclicità delle stagioni, tra ingenuità, dolcezza e genuina voglia di stare insieme, dipingendo il quadro di un vivere ormai perduto, basato su un sentimento di comunità oggi dimenticato.
Ed è così che nella sincera crudezza della vita contadina, la splendida prosa pasoliniana da forma a vicende semplici che parlano della vita di molti, tra sogni giovanili e amicizie cementate nel vino, utopie socialiste e galera, lacrime amare e sorrisi guasconi, amore sognato e amore consumato, malattia letale e indomita speranza.
Il lettore, soprattutto il giovane, viene posto d'innanzi ad un'obbligatoria analisi di coscienza e ad un involontario e struggente confronto, dal quale questo non può non uscire arricchito di un sapere e di un sentire ormai perduti, che si applicano alle speranze immemori dell'età più dolce, oggi come ieri.
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