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Nostalgie maschili
Romanzo della nostalgia: tra donne perdute e/o che partono; altre che ritornano alla memoria dopo esser state dimenticate; donne che appaiono sulla scena, di passaggio, in visita. Ciascuna di loro mette in rapporto il narratore, Emilio, coi suoi limiti – e ognuna (donne incontrate, amate, ingannate, traditrici e tradite) gli presenta il conto.
Il carattere “testamentario” dell’opera, di fatto, è una sorta di rendiconto dei sospesi (o debiti); leitmotiv della scrittura di Tomizza, che vi si attiene dall’inizio alla fine.
Indiscusso il suo coinvolgimento personale, insieme col mestiere e la piattezza stilistica (agognata, coltivata) tipica dell’artigianato narrativo; c’è la miseria dell’onestà tipica dell’intimismo “retrospettivo” – il pianto che «intorbida» l’occhio e i «posdomani»; i dialoghi imbalsamati; una cataratta di verbi attaccati a pronomi o viceversa, in omaggio all’agilità dei periodi.
Sintomatologia – inadeguatezza ai doveri dello “stallone”: frustrati dalla senilità, li si ritrova, comunque pensosi, negli anni giovanili di Emilio – sempre in termini di vagante disinteresse o tiepidità nei riguardi della femmina che gli tocca di fronteggiare...
Non gli piace, all’inizio, la visitatrice (non è il suo «tipo» di donna). Non gli piaceva quarant’anni prima l’infermiera, madre della visitatrice, la quale madre non piaceva neppure all’altro personaggio maschile, il partigiano carismatico-donnaiolo (e semi-cuckold) Bardocchia, il quale scaricherà su Emilio la paternità della (futura) visitatrice...
Lo stesso Bardocchia non apprezza sua moglie Brigida (non frigida, no), la quale diventerà l’amante di Emilio, che in costei – forse – qualcosa gradisce, sebbene il loro legame concerna l’affetto piuttosto che il desiderio. Infine, a Emilio non piace neppure la principessa cinese nell’ultimo sogno, sognato accanto alla visitatrice non-figlia che lo accudisce e lo veglia, in quell’ultima notte, proprio come un’infermiera...
Metafora intorno alla difficoltà uomo-donna, e metafora di quel luogo interiore, irraggiungibile, che rende la “fusione” impossibile.
Ma poi, ambientata in prossimità di Trieste, e sullo sfondo della questione istriana, la vicenda riverbera d’una tristezza che è, in primis, storica e geografica.
Non poteva essere altrimenti.
Malato, Tomizza muore cinque anni dopo, il 21 maggio 1999.
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