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Immagini e parole
Gabriel Garcia Marquez raccontava che la fonte di ispirazione dalla quale prendevano l’avvio i suoi romanzi era sempre un’immagine. Non questo o quel personaggio, o avvenimento, o luogo, ma un’immagine.
Nel “Viaggio di Emilia” di Anna Maria Balzano ci sono alcune immagini che hanno la forza di sostenere lo sviluppo di una storia e la caratterizzazione di alcuni personaggi.
Due su tutte: la giovane mamma con il suo bambino al collo che fugge dalla potenza distruttiva dell’acqua, o i due occhi bambini che nascosti nel buio vedono “il corpo della mamma riverso su uno dei tavoli e quello d’un uomo alto e robusto sopra di lei”.
Sono immagini che hanno tutte le potenzialità di agire da motore di una storia, ma nel caso di Anna Maria il tono, lo slancio e forse l’ispirazione per il racconto proviene da un’immagine più tenue, velata di polvere e di nostalgia, e cioè la foto di “un bel palazzetto a due piani dei primi del novecento, i suoi balconcini con le balaustre di marmo, le persiane di legno a battente verniciate di verde, il portoncino centrale rialzato su due ampi gradini di pietra, che si apriva su un vasto atrio che si intravedeva appena.”
E’ questa la stazione di partenza del viaggio di Emilia, nella Napoli del secondo dopoguerra, e come sempre capita all’inizio di un viaggio, c’è attesa, eccitazione, tenerezza, curiosità e sogno. Stazione dopo stazione, tappa dopo tappa, un po’ di quell’innocenza andrà perduta, perché il viaggio ti mette sempre di fronte agli imprevisti, alle difficoltà, alle deviazioni di percorso. Ma sono proprio queste che danno al viaggio il suo sapere autentico, personale e inconfondibile e che ci creano quella piccola bolla nello stomaco quando ci voltiamo e lo osserviamo da lontano.
Dopo aver letto due romanzi di Anna Maria, mi sento di dire che la sua scrittura è molto delicata, essenziale, niente più del necessario e tuttavia niente affatto piatta e scontata. Un po’ come la vita, che a volte ci mette davanti a prove drammatiche, che possono però essere raccontate con semplicità.
Inevitabile il confronto tra “Il viaggio di Emilia” e “La voliera dei pappagalli”, che ho letto a breve distanza l’uno dall’altro. Per me sono due opere di pari valore dal punto di vista di contenuto, stile e piacevolezza, per rimanere nei parametri che siamo invitati ad usare per le nostre valutazioni su Qlibri. Nel Viaggio, Emilia è non solo la protagonista, ma anche il sostanziale io narrante, nonostante l’utilizzo della terza persona. La Voliera invece è un romanzo più corale e con maggiore distacco nella narrazione. Entrambi possono essere letti anche come romanzi di formazione, uno a più voci, l’altro con un grande solista.
Personalmente darei la mia preferenza alla Voliera, ma soltanto perché nella lettura del Viaggio qualche volta mi sono sentito un po’ come un intruso sorpreso a frugare nei ricordi di un’altra persona.
Pur essendo una storia frutto di fantasia (l’ho appreso dalle stesse risposte di Anna Maria su Qlibri) nel Viaggio si avverte quasi quella richiesta di intima complicità che è alla base di ogni confidenza privata. Ovviamente i gusti sono personali e dunque proprio questo elemento per altri lettori (o forse lettrici) può essere motivo di interesse e di apprezzamento ancora maggiore.
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