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Delitto e rimorso
* L’ultima notte a Erto in quel po’ che ho dormito, ho sognato mia mamma che mi faceva un po’ di posto nel suo letto perché ero congelato dal freddo. Mi ha detto: “Vieni qui che ti scaldo come quando eri piccolo”. Ma intanto che montavo dentro il paglione per scaldarmi, è arrivata sua sorella, la zia delle formiche in bocca, e gli ha detto a mia mamma di non farmi posto nel letto perché io non mi sarei scaldato mai più. Ormai ero fatto di ghiaccio e se mi faceva entrare nel suo letto avrei ghiacciato anche lei, e sarebbe morta congelata come Jacon Piciol. Ma mia mamma non voleva sentir ragioni e mi ha preso per una mano per portarmi a scaldare nel letto. Allora la zia che beveva, con la faccia come scheletro della morte, mi ha preso per un braccio e con uno strattone mi ha tirato via da mia mamma urlando che era rivato il tempo di finirla che copassi gente, ne avevo copati abbastanza, adesso era ora che qualcuno mi copasse anche me perché mi era entrato il diavolo nel sangue e non sarebbe saltato fuori se non con la mia morte.*
Mauro Corona ha scritto tre romanzi che costituiscono una trilogia, chiamata Trilogia della Morte, in quanto questa è sempre incombente e non sono mai a lieto fine per il protagonista principale. Per uno strano caso ho letto dapprima il secondo (Storia di Neve), poi il terzo (Il canto delle manére) e infine per ultimo quello che è invece è il primo. Mi riferisco a L’ombra del bastone, una trama che, per come è riportata, può anche far pensare che rispecchi un fatto realmente accaduto e al riguardo già dall’inizio la vicenda appare verosimile, poiché è scritto che a casa del narratore ertano si presenta un tizio della piana friulana per consegnare un vecchio quaderno del 1920 trovato in un pertugio di una stalla e che è scritto come un diario. Le pagine sono rovinate dal tempo, appiccicate l’una all’altra, come incollate, ma Corona è paziente e con calma le separa. E’ proprio un diario che riporta la storia del suo estensore, che peraltro si firma (Severino Corona, detto Zino), e proprio questo nome incuriosisce ulteriormente Mauro Corona, in quanto pensa, non a torto, che si possa trattare di un parente. Con calma trascrive il testo, rispettando la lingua un po’ sgrammaticata e intervenendo solo per tradurre qualche parola che lì è in dialetto.
Nasce così uno dei più bei romanzi che sia uscito dalla penna di Corona, un testo avvincente e che ha il pregio della spontaneità, come se proprio fosse stato stilato da questo Severino Corona, il che indurrebbe proprio a confermare l’autenticità del fatto e, se pur qualche dubbio mi rimane, non vedo per quale ragione non possa essere reale e non un parto di fantasia. Magari ci sono aggiustamenti nella trama, accostamenti temporali là dove non si rispettava un preciso ordine logico, ma appaiono come i necessari interventi per consentire un agevole e piacevole lettura di un evento accaduto.
Non so se questo valga per altri, ma nel mio caso dico in tutta sincerità che quando ho per le mani un testo di questo autore è come se la quotidianità venisse meno, é come se, all’improvviso, ritornando indietro nel tempo, annullassi la percezione temporale. E così le pagine scorrono come un torrente pacioso nel piano, di certo aiutate da un’invidiabile fluidità della scrittura, da una concatenazione di eventi che non lasciano tempi morti, dallo spettacolo forte, austero di una natura incontaminata che ormai sembra preistoria.
In questa natura, aspra, selvaggia, a volte poeticamente fiabesca, si aggirano personaggi oggi introvabili, pure loro selvaggi, ancorati a tradizioni, riti e superstizioni proprie di una civiltà ormai scomparsa. E’ un mondo dove tutto appare agli estremi, in cui le passioni, quali l’amore, sono violente, quasi animalesche, dove si nasce in miseria, si vive faticando e anche penando e si muore per disperazione.
La storia di questo Severino Corona, che ha assassinato un uomo, marito della sua amante, un uomo che è sempre stato suo amico e che con il trascorrere del tempo vive nell’angoscia del rimorso è quanto di più realistico, e anche struggente, che mi sia capitato di leggere. E in questa trama si trovano personaggi che saranno i protagonisti degli altri due romanzi della trilogia, figure che accennano una luce al bagliore che invece esploderà quando a loro sarà dedicato un intero libro.
Ci si commuove sin d’ora alla vicenda di Neve, di questa bimba unica nata in un inverno di copiose precipitazioni nevose, si resta fra l’incredulo e lo sgomento per la vecchia Melissa, la strega murata nel ghiaccio, si avverte il freddo dei gelidi inverni, si assapora l’aroma degli abeti tagliati, nelle orecchie risuona il fluire del torrente Vajont, si sogna a occhi aperti lasciando scorrere le immagini che le pagine propongono e alla fine, chiuso il libro, si ha una netta sensazione di appagamento, come se quella storia fosse la storia che da tempo si aspettava di leggere.