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Di cammei intagliati e ricci di mare porpora
Arturo Gerace trascorre i primi 16 anni di vita in un microcosmo a sua immagine e somiglianza, incantato e inospitale, che la Morante identifica con la pittoresca isola di Procida.
L’assenza della madre, morta nel darlo alla luce, gli instilla nell’animo una sorta di culto sacro per la figura materna, mentre il resto del genere femminile (che ben rifugge la “casa dei guaglioni”, dove Arturo vive, vista la fama di luogo interdetto alle donne) gli pare inutile e brutto oltre ogni dire;
l’assenza del padre Wilhelm, pur vivo ma sempre in viaggio, ne causa invece l’idealizzazione, quale dio meraviglioso e spavaldo, eroe di mille mondi dai capelli d’oro e gli occhi turchini (eredità della madre tedesca, invidiatissimi da Arturo che è moro, suo malgrado, sia nella chioma che nello sguardo).
L’amena esistenza del protagonista viene d’un tratto sconvolta dall’arrivo di Nunziata, giovane napoletana che Wilhelm sposa un giorno di marzo, con grande sgomento del figlio. Questa popolana dal cuore buono e dalla fede inossidabile, poco attraente eppure così bella, permette di svelarci una realtà nascosta: la vita avventurosa e solitaria ha certo temprato Arturo nel fisico, ma lo ha lasciato inerme di fronte alla forza dei sentimenti, che lo trascina in mare aperto come una conchiglia in balìa di onde impetuose.
Assistiamo quindi alla sua maturazione, così sapientemente raccontata dall’autrice, e viviamo noi stessi l’oppressione del “guscio” procidano, ormai troppo stretto per un corpo che cambia e una mente che brama conoscenza. Siamo invasi, come Arturo, dal continuo rimpianto di tempi e fortune passati, e come Arturo vediamo calare dal Penitenziario un’ombra misteriosa di derisione, che offusca sempre più i bei tratti nordici del padre.
“L’isola di Arturo” è un romanzo di formazione interrotto, potremmo dire, sul più bello (mai sapremo le sensazioni di A. nel toccare per la prima volta una nuova terraferma), con la Morante sempre capace di raccontare grandi storie partendo dal più semplice quotidiano.
Un’opera consigliatissima a tutti per lo stile delicato e “naturale”, la capacità di far riflettere, l’irresistibile figura del protagonista, e soprattutto quel desiderio spassionato di recarsi a Procida una volta finita la lettura…
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