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Non ti muovere di Margaret Mazzantini
Ogni volta che leggo un romanzo di Margaret Mazzantini non mi sento solo “piena”, ma straripante: di sapere, di pensieri, di emozioni, di sentimenti, di passione. Insomma: soddisfatta, pienamente soddisfatta!
Ed ora, dopo il suo quarto romanzo, posso affermare che sia la mia scrittrice preferita (per ora non mi ha mai delusa… anzi).
Il protagonista è un padre: Timoteo (chirurgo), al capezzale della figlia, ricoverata presso l’ospedale presso cui lui lavora e in gravissime condizioni a causa di un brutto incidente occorsole mentre era in sella al suo motorino.
Angela, la figlia, è in bilico tra la vita e la morte e il padre si confessa a lei completamente, svelandole tutto di sé: anche e soprattutto il brutto, il marcio. Si spoglia delle finzioni che hanno caratterizzato gran parte della sua vita (soprattutto quella famigliare), per concedersi alla figlia e a noi nudo e crudo.
Timoteo, a mio avviso, è un uomo completamente incapace di amare chiunque in modo adulto e responsabile: non la moglie che lui considera troppo bella, troppo borghese, troppo perfetta; non la figlia che non avrebbe esitato ad abbandonare appena nata, se avesse potuto portare avanti la storia con Italia. E nemmeno Italia, che è stata solo la sua valvola di sfogo, per tutta la durata della loro “relazione”.
Timoteo, quindi, è un grande esempio di cinismo ed egoismo maschile, che io non augurerei a nessuna donna di incontrare sul proprio cammino: capace solo di amare se stesso.
Grande tenerezza ho provato per Italia: una donna onesta, modesta, ma a mio avviso molto forte, nella sua semplicità. Sicuramente troppo “femmina sottomessa”, ma sfido chiunque a non essere completamente straziata dopo una storia di violenza subita da parte del padre, quando era appena dodicenne.
Con Timoteo, la prima volta che va da lei e la prende, Italia rivive quel rapporto malsano e da quel momento in poi si accontenta delle briciole (di tempo e di sentimenti), che lui ogni volta può offrirle ( “E’ così estranea e così vicina a me…Alzo la mano per scaraventarla lontano, lei, i suoi ninnoli, la sua miseria. Invece afferro quel fiore di strass e me la tiro contro. Cerca di mordermi la mano, la sua bocca si agita nel vuoto…Poi le vado addosso con i denti. Le sbrano il mento, le labbra dure di paura… Non assiste alla mia furia. Abbassa il viso sul collo, alza un braccio vago nell’aria, e quel braccio trema…La spingo contro il muro, presto. E prima ancora di presto… lei è una marionetta slentata contro il muro…La mia saliva le cola lungo la schiena, mentre mi muovo nel suo cesto di ossa come un predatore dentro a un nido usurpato. Così faccio scempio di lei, di me, di quel pomeriggio balordo).
In questo romanzo la Mazzantini indaga sui segreti di una “normale” famiglia borghese, dove tutto sembra andare bene, mentre è un matrimonio vuoto, condizionato solo dalle convenzioni sociali (“sono rimasto un ospite fisso in casa mia”). A causa di questo, il marito cerca conforto, comprensione e considerazione tra le braccia di una donna di un ceto inferiore: brutta, insignificante e scialba (“Sai di valere solo nella foia, sai che quando mi stringo il nodo della cravatta prima di andarmene ho già schifo di tutto”). Ma almeno questa donna, al contrario della moglie, non lo giudica e non si aspetta da lui nient’altro, che il poco che lui è disposto a concederle (“ Non siamo amici, né lo saremo mai. Siamo stati amanti prima ancora di conoscerci. Ci siamo scambiati la carne forsennatamente” e ancora “Sarebbero bastate poche carezze a restituirmela, la conoscevo, si lasciava amare senza inutili prove di orgoglio”).
Timoteo è stato cresciuto da una madre borghese, costretta a vivere in un quartiere popolare, senza mai accettare questa situazione. Non permetteva nemmeno al figlio di “mischiarsi” con quella gente, che lui era costretto a spiare dal suo balcone. Già da piccolo, quindi, Timoteo deve fingere che quel mondo in basso non esista , salvo poi volervi ridiscendere da adulto, per mischiarsi a quei poveracci ( “In quelle soste euforiche e patetiche, diventavo il ragazzo temerario che avrei voluto essere e che non ero stato”).
Commovente l’immagine di Angela “salvata” dal sacrificio di Italia, che non è riuscita a salvare nessun altro (né il proprio bambino, né se stessa), ma salva la figlia di lui, ridandole una nuova vita.
Bello, bellissimo, imperdibile, come ogni romanzo di questa scrittrice!
Le frasi o le espressioni che mi sono piaciute:
“Sono un padre qualunque, un povero padre sfondato dal dolore…”;
“Avevo appena quarant’anni e già da un pezzo avevo smesso di indignarmi”;
“Il coraggio, Angela, appartiene agli amori nuovi, gli amori vecchi sono sempre un po’ vili”;
“Ricordo di aver pensato che niente può salvarci da noi stessi”;
“Dammi un cesto figlia mia, il cestino con cui andavi all’asilo. Voglio metterci dentro, come lucciole nel buio, i bagliori che hanno attraversato la mia vita”;
“La nostalgia è un sentimento molto elastico, dentro il quale puoi far transitare tutto quello che ti va”;
“…l’avrei aspettata al buio. Il buio mi nascondeva da me stesso”;
“Il corpo può amare ciò che la mente disprezza”;
“La zoppia dell’anima, quella pensavo, si sarebbe curata solo con il tempo…”;
“Ognuno di noi, Angela, sogna qualcosa che scardini il suo mondo ordinario. Lo sogni seduto sul divano, sbracato in mezzo ai benefit che la vita ti aggiunge ogni giorno”;
“Chi ti ama c’è sempre Angela, c’è prima di conoscerti, c’è prima di te”;
“Credimi, mi sono giudicato molti anni fa, seduto su quel marciapiede. Ed è stato un verdetto senza ritorno”;
“Sepolto quel brivido, quella follia, quel figlio maschio. Cazzate di padri, Angelina, di stupratori che non sanno come crescere. Punto”.