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Le confessioni di un malandrino
Dopo Angelo Branduardi, menestrello della canzone italiana, ci pensa Salvatore Niffoi – autore pluripremiato, già Premio Campiello nel 2006 con “La vedova scalza” – a narrare le malefatte di un bandito: Bantine Bagolaris, oriundo della bella e selvaggia Barbagia. Ma il romanzo di Niffoi – a differenza dell’opera del cantautore da me ricordata per mera assonanza di titolo – è tutt’altro che lirico.
Dopo una vita di malefatte e latitanza, Bantine il bandito torna ferito a casa propria e, sotto l’incalzare della morte, racconta la propria vita al figlio ventenne, con il quale non ha mai vissuto (“Il giorno in cui sei venuto al mondo ho fatto appena in tempo a guardarti negli occhi, per capire se erano dello stesso colore dei miei”) perché ricercato fin dal giorno della nascita (“Abbiamo un mandato di cattura per Bantine Bagolaris”).
Dopo qualche cenno all’infanzia difficile (“Il poco che ho avuto dalla vita l’ho dovuto sempre scorticare come il sughero dall’albero”), il bandito narra delizie e dolori del “vivere alla macchia”: avendo ucciso un uomo, trova ospitalità presso un amico sardo (“Visto da lontano l’ovile sembrava un nido di falchi”), in una località incantevole (“In quella cala c’era un laghetto d’acqua dolce e un bosco d’oleandri, dove i fiori cadevano giù come stelle”) ove vive una breve storia d’amore con un’ambiziosa giornalista inglese (“Gli articoli con l’intervista alla Primula Rossa barbaricina erano sulle prime pagine dei quotidiani isolani e nazionali”).
Per non essere arrestato, ripara sul continente ove compie misfatti con i “quattro dell’Apocalisse”, inizialmente su commissione di “Fausto Caccioli, noto er Fiamma per le sue idee politiche poco democratiche e la sua abilità nel maneggiare il cannello della fiamma ossidrica”.
Sfilano così, tra ricordi inquinati da un’improbabile poesia e i deliri della febbre che assedia il morituro, l’esecuzione di un faccendiere, il rapimento con fine tragica di un industriale, l’assassinio di un cliente durante una rapina in banca e l’agguato mortale a un ministro… tutti raccontati senza vergogna al figlio!
Il breve romanzo non mi ha coinvolto, orientato com’è a descrivere azioni delittuose e personaggi della malavita. La figura del bandito-poeta risulta troppo improbabile. La dimensione che più mi avrebbe potuto interessare – ossia il rapporto con il figlio - rimane sullo sfondo di un soliloquio (“Tu dirai, bel padre mi è capitato, è scappato il giorno della mia nascita, scappa pure in punto di morte…”) i cui intendimenti mi sono risultati piuttosto oscuri.
Bruno Elpis
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Bruttino proprio. IO TI AVEVO AVVERTITO :-)
@ Cub: tutta colpa de "La scuola della carne". Ma lì dovevo capire che il tuo giudizio era espresso in senso relativo (rispetto alle altre opere di Mishima)... :-)
@ Silvia anche a me piaceva molto la copertina, poi terminato il libro l' ho riguardata e ho trovato disgustosa pure quella. Lo vedi che nella polpa del frutto e' inserito un proiettile ?
Sai dove porta l'utente quel disegno, col senno di poi ? A un cervello sezionato e colpito da una pallottola : Bantine parla con un proiettile conficcato in testa.
Trovi ancora bella la copertina ?
;o)
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anche tu , Bruno, come Cub a suo tempo, hai espresso con chiarezza cosa non convince di questo romanzo!