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Quel ramo del lago di Como...
Le radici di “Un bel sogno d’amore” affondano nel febbraio 1973, quando l’attesa per la proiezione di “Ultimo tango a Parigi” al cinematografo bellanese di Idolo Geppi è ormai spasmodica. Le voci sulle scene piccanti si diffondono e così Adelaide impone al fidanzato Alfredo di accompagnarla a vedere le acrobazie erotiche di Marlon Brando con un ricatto: se non mi accompagnerai tu, amore mio, lo chiederò a Ernesto Tagliaferri, detto “il Taglia”, giovanotto dal comportamento guascone (“Il Taglia, per carattere ganassa, infuocato dal vino…”) e moralmente poco cristallino (nel corso del romanzo intasca in modo truffaldino i soldi di una lotteria, contrabbanda bionde, s’impelaga in un giro di banconote false, s’invischia in un furto di orologi e trasborda refurtiva sulle acque del lago). Di Ernesto, Adelaide diviene complice (“Visto che ormai sapeva cosa c’era nella borsa, avrebbe voluto trovare il coraggio per dirgli di smettere di usarla per quelle consegne”) e così compromette il suo futuro lavorativo...
Ma la storia d’amore della quale si parla non è soltanto quella di Adelaide, che prima cerca di farsi impalmare dal giovane carrozziere, poi s’impegna a svezzare il marito nell’arte amatoria e nel ruolo di mammone soggiogato dalla figura di una madre-suocera toppo ingombrante. Tuttavia, i dettagli non possono essere rivelati…
Lo stile del romanzo è quello al quale Andrea Vitali ci ha da tempo abituati: pagine brevi e velocissime, frasi sincopate, chiusure che vengono riprese dall’incipit del capitolo successivo con cambiamento di scena, parole mutuate direttamente dal dialetto comasco: ove “slandra” sta per “donna dai facili costumi”, la “ciocca” è l’ubriacatura, una persona imbambolata è “imbesuita”, lo spaccone è un “ganassa” e “provocare” si può sostituire con “inzigare”…
Un romanzo divertente, godibile fino in fondo, che nasconde dietro alla leggerezza inconsistente della commedia una morale semplice, nostalgica e molto pop.
Bruno Elpis
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Commenti
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A me sembra banale, privo di mordente, con un ritmo quasi inesistente e un lessico, sì fruibile dai più, ma davvero avvilente per la semplicità utilizzata; va bene che va al grande pubblico, ma mi sembra che si rasenti il didascalico in certi punti.
Che ne pensi?
Su un piano più generale, credo di aver esplicitato nella parte finale del commento qualche valutazione sullo stile. Qui aggiungo un'ulteriore annotazione: ho partecipato a qualche presentazione di Vitali e l'ho trovato spontaneo e ironico come nei suoi romanzi.
Infine ritengo che lo stile di Vitali sia riconoscibile tra mille e coerente. Talvolta poi riserva qualche sorpresa con parole inusuali o arcaiche: particolare che mi affascina e m'insegna.
grazie a te! Mi hai consentito di esplicitare idee che - talvolta per amor di brevità - non trovano adeguato spazio nei commenti che pubblichiamo. .-)
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