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«Tutto era già accaduto, molto tempo prima»
CONTIENE SPOILER
Splendore è il tempo dell’amore senza categoria. Senza età, sesso o classe sociale, ciò che resta dell’individuo è solo la necessità di condividere quel che si è scoperti di essere.
Guido e Costantino vivono agli antipodi, ai poli di una scala che separa senza mai farsi ponte.
Guido è il figlio della borghesia, della solitudine e dell’assenza. Rinchiuso nella sua prigione dorata, all’ombra di una famiglia sfatta ma scagionata dal mito, Guido si aggrappa ai sensi per fiutare la vita: ascolta le voci che dall’androne salgono fino alla sua porta, si avventa sul cortile lanciando un mosaico dalla finestra, annusa di nascosto quel calore domestico che esala dalla guardiola.
Lì, oltre le grate, vive il figlio del portiere: Costantino. È un bambino robusto, educato al cattolicesimo e alla reverenza, schiavo di un’esistenza segnata e in attesa di un riscatto sociale.
Guido e Costantino sono agli antipodi, eppure mai così vicini nel rifuggire il riflesso della propria innocenza violata. Una fuga che arriva sino agli smarrimenti dell’adolescenza quando, al pari dell’ultimo anno di scuola, questa è in procinto di volgere al termine. A riempire i giorni della giovinezza un viavai di volti con i quali prendere tempo, rinnovando indelebili ricordi e attendendo incontri ormai prossimi.
Sulle soglie della maturità, senza più viltà e senza più coraggio, Guido e Costantino si scoprono finalmente vivi, liberi, amanti.
Come le onde, però, anche le vite sono flussi in movimento, facili prede delle correnti e in balia delle maree. Nel rifiuto di sé è semplice perdersi così come è naturale ritrovarsi seguendo l’eco di un richiamo senza nome né scampo. Qui, nel vortice delle apparenze e dei sotterfugi, tra illusioni e rinnegamenti, si compiono le stagioni di una felicità a fasi alterne che non riesce a sopravvivere alla prevedibilità delle convenzioni, alla meschinità della violenza, all’ipocrisia del ravvedimento.
Il ritorno agli antipodi è talvolta l’unica direzione possibile, anche quando la consapevolezza di aver perduto la parte più autentica di sé si fa certezza, in un viaggio a ritroso, verso l’infanzia e lungo tutta una vita che non ha mai smesso di cercare se stessa nell’eterno splendore dell’innamoramento.
A distanza di dodici anni da Non ti muovere, Margaret Mazzantini riscrive l’amore controverso che non segue logiche né calcoli, ma si abbandona all’istinto più puro e irragionevole. Fulcro dell’intero romanzo è il mare che segna le tappe cruciali della vita del protagonista per diventare metafora dell’esistenza stessa. Seguendo uno schema circolare, la vita sentimentale e sessuale di Guido si apre tra le onde e qui vi ritorna sul finale del romanzo, attraverso il ricordo di un moto perpetuo che ora è posto al di fuori di sé, nella contemplazione di un altro innocente stregato dalla stessa corrente.
La complessità dei personaggi e la difficoltà dei temi purtroppo non preservano l’autrice dalla banalità e così il lettore incorre continuamente in immagini stereotipate, in luoghi comuni e in una fabula fin troppo scontata. A farne le spese è soprattutto Costantino e il finale della sua storia, laddove il matrimonio di facciata, il figlio malato, il pestaggio e la redenzione nella comunità ecclesiale lo riducono a semplice manichino senza qualità. La focalizzazione interna, invece, salva Guido e solleva gli astanti che gli ruotano intorno – dalla moglie Izumi alla figlia adottiva Leni – a cammei di gran lunga più suggestivi.
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