Dettagli Recensione
Un libro "essenziale"
Aveva dieci giorni Novecento, quando fu trovato da Danny Boodmann rannicchiato all’interno di una cassetta di limoni. Erano nel Virginian, un piroscafo, che solcava i mari e si portava addosso speranza e malinconia. Tra l’Europa e l’America aiutava miliardari ed emigranti ad iniziare una nuova vita. Dall’oceano alla terra le voci vagarono, come le note del pianoforte di Novecento. Danny Boodmann T.D. Lemon Novecento, ecco qual’era il nome che si udiva per le strade e per i mari. Lui, un pianista che non aveva mai abbandonato la sua nave ed il suo strumento. Un pianista che faceva scorrere le sue dita solo tra i tasti della scala musicale, e non ha mai sceso la scala che l’avrebbe portato alla vita reale. Novecento, il miglior musicista mai esistito.
“Novecento è un poeta, Novecento è la spuma dell’oceano che si infrange sul Virginian, Novecento è un mondo, un universo di note che si perdono nel mare, tra le onde. Il Virginian è la culla di un bambino, che dondola ritmicamente e racchiude il tesoro più sacro, il vagito di un neonato, che come Novecento sa creare altre note, al di fuori della scala musicale, semplici, ma allo stesso tempo le più complesse ed enigmatiche del mondo. Un oceano di emozioni” Credo di essere riuscita ad esprimere, in poche parole, il mio punto di vista relativo a questo libro. Novecento nasce come un monologo teatrale, ed infatti sono presenti molti punti che descrivono la scenografia, l’abbigliamento e la postura degli attori. Questo non lo ritengo assolutamente uno svantaggio, anzi, mi ha portata a viaggiare con la fantasia, trovandomi sia spettatrice di una rappresentazione teatrale che passeggera di prima e di terza classe nel Virginian. A mio parere, la frase che descrive meglio il libro è questa: “Il mondo, magari, non l’aveva visto mai. Ma erano ventisette anni che il mondo passava su quella nave: erano ventisette anni che lui, su quella nave, lo spiava. E gli rubava l’anima. Il questo era un genio, niente da dire. Sapeva ascoltare. E sapeva leggere. Non i libri, quelli son buoni tutti, sapeva leggere la gente” . Mi ha emozionata immaginare come lui guarda le persone, come sia riuscito a creare un suo mondo immaginario solo tramite la gente, come per lui sia una scelta vivere su quella nave, come se tutto il suo universo fosse lì, come si sentisse sicuro solo tra le anime presenti nel piroscafo, e non in un mondo popolato da milioni di persone indifferenti. Mi ha stupita la personalità del protagonista. Se immagini una persona nata e cresciuta in una nave, senza mai aver vissuto la vita reale, lo immagini diverso, quasi come un bambino, e invece Novecento non è questo, è maturo, in tutto e per tutto, lo si capisce da come parla, da ciò che dice, e questo ti spinge ad amarlo ancora di più, a ritenerlo una persona adulta che saputo mantenere la purezza dell’infanzia. Questo monologo è la prova tangibile che un BUON LIBRO di settantatre pagine non è “sintetico” ma “essenziale” e quando è scritto bene come questo non serve una parola di più per entrare e farsi spazio tra la memoria e i sentimenti del lettore.