Dettagli Recensione
Un'acustica leggera
“Il dolore è insensato. Come l’amore”. E’ la frase (presa dal libro) che meglio lo rappresenta, lo identifica. Secca, di poche parole. Dolore e amore assimilati senza possibili fraintendimenti, entrambi irrazionali.
E’ di questo che ci parla la Bignardi: di un amore irrazionale e doloroso che prevale sulla ragione e la certezza di una vita piatta e programmata. Arno e Sara sono sposati da tredici anni e hanno tre figli. Hanno deciso di sposarsi dopo solo tre mesi. Si erano amati da ragazzini, poi si erano persi di vista per dieci anni e quando il destino li ha fatti riunire l’amore ha trionfato. O così pensavano tutti: i genitori, i parenti, gli amici. Ma l’amore non può vincere il grigio del dolore, inquinato come Milano. Sara scappa, pochi giorni prima di Natale, senza dire niente se non due frasi su un biglietto: “Devo partire, devo farlo per forza”. Dallo stupore misto a rabbia per lo scherzo – sì perché Arno è convinto sia uno dei soliti scherzi di pessimo gusto della moglie mezza pazza – comincia una ricerca nel passato e, man mano passano i mesi e Sara non torna, tra la nuova organizzazione in casa e lo scoprire com'è esserci davvero e stare con i figli, Arno capirà come ha vissuto quei tredici anni di matrimonio. Quanto di sé stesso ha dato, quanto non ha saputo dare, vedere, ascoltare. Scopre il passato della donna che ama, una donna che a quanto pare non conosce per nulla, che ha giudicato troppo in fretta e troppo sommariamente, che nasconde dolore e tenerezza. Ha aperto gli occhi e regalato nuove possibilità. Nonostante tutte le premesse la storia finisce bene: “Ho sentito il dolore, sì, e l’ho messo in quello che amo”.
Lo stile è scorrevole. Si è rivelato un libro velocissimo da leggere, facile, senza intoppi – benché io abbia trovato certe frasi troppo artificiose, il linguaggio poco omogeneo (dal tono placido e pacato a imprecazioni colorite e fervide, che forse cozzano tra loro) e un tantino ridondante. Quindi, una volta ripulito dalla patina linguistica la storia scorre. Peccato che il tema centrale (immagino), la musica, non abbia un vero ruolo centrale. Non c’è uno filo conduttore, come invece credo fosse nelle intenzioni dell’autrice. Ci sono flashback e ricordi, supposizioni e viaggi mentali, dialoghi e spaccati di vita. Un percorso veloce (quasi superficiale), poco spazio per le vere sensazioni che un abbandono dovrebbe suscitare, senza contare che i personaggi caratterizzati si contano sulle dita di una mano: Arno, Sara (per vie traverse e attraverso la ricostruzione che è il fulcro del libro), Maria, Massimo, Rino (parzialmente). Tutti gli altri sono personaggi sullo sfondo, alcuni labilmente dipinti, altri totalmente muti – per esempio i figli. Insomma, pure immagini statiche.
In sintesi: un libro carino, con una gran bella idea di fondo, bella la ricerca della donna amata attraverso il suo passato, peccato averla sviluppata in modo così scarno e veloce. Consigliato a chiunque volesse un libro leggero ma non inutile, un po’ di compagnia non invadente.
Indicazioni utili
- sì
- no