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Tutti gli angoli della mente
L'ultima volta che viene avvistato, il trentunenne Ettore Majorana è su una nave che porta da Palermo a Napoli: è il 26 marzo del 1938. C'è chi giurerebbe che lui sulla terraferma ci sia sbarcato (e da lì si siano davvero perse le sue tracce)... Nessuna certezza di ciò, tuttavia.
Per sapere com'è scomparso Ettore Majorana – secondo Leonardo Sciascia, siciliano come lui – bisogna necessariamente partire da un'altra domanda: chi è Ettore Majorana?
Sciascia lo fa dire, anzitutto, a Enrico Fermi, di cui il ragazzo è stato allievo al famoso istituto romano di via Panisperna (dove negli anni '30 del '900 si concentrava un ristretto gruppo di brillantissimi fisici italiani): “è un genio della statura di Galileo o di Newton”. E questo nonostante tra i due non vi fosse un rapporto professionale idilliaco (si vociferava, addirittura di un malcelato antagonismo reciproco); per dirla tutta, anzi, Majorana non aveva legato con nessuno dei “ragazzi di via Panisperna”.
“Come tutti i siciliani 'buoni', come tutti i siciliani migliori, Majorana non era portato a far gruppo, a stabilire solidarietà e a stabilirvisi (sono i siciliani peggiori quelli che hanno il genio del gruppo, della 'cosca')”. E' con queste parole che Sciascia intende spiegarsi – e spiegarci – l'autoisolamento di questo “ragazzo-prodigio”.
Majorana legherà più con Heisenberg – altro grande fisico noto per la teoria della composizione del nucleo –, durante un viaggio in Germania al quale l'aveva spinto proprio Enrico Fermi (siamo agli inizi del 1933).
Al momento del ritorno a Roma, Majorana si immerge in uno studio solitario, isolandosi totalmente per i successivi quattro anni: eppure non è dato capire su cosa si applichi, tenuto conto che fino alla sua scomparsa pubblicherà pochissimi lavori.
Siamo già all'inizio del 1938, quando gli viene assegnata la cattedra di fisica teorica dell'Università di Napoli. Sarà professore per pochi mesi, prima di tornare nella sua Sicilia per un weekend e, nel viaggio di ritorno, scomparire per sempre.
Di questo breve libro di Sciascia (nemmeno 100 pagine) balza subito all'occhio una caratteristica tanto originale quanto affascinante: è un libro di saggistica che pare “sconfinare” a tratti nella narrativa.
E' saggistica per il semplice fatto che la vicenda di Ettore Majorana è assolutamente vera. E' tuttavia narrativa, perché la scomparsa del giovane fisico registra una tale penuria di elementi e riscontri da invogliare un grande scrittore come Sciascia a “costruirvi intorno” il suo personale racconto.
Le riflessioni sul carattere chiuso del ragazzo, l'attento esame delle poche righe di cui si compongono le due misteriose lettere lasciate da Majorana prima di sparire (rispettivamente ai suoi familiari e al direttore dell'istituto di fisica di Napoli), la citazione di uno strano episodio avvenuto alla fine della 2a guerra mondiale (e ricordato dall'allora direttore del giornale “L'Ora”), fanno di tutta la vicenda una storia molto “sciasciana”.
Impreziosita da un'ulteriore notazione: non pare di ricordare, nella storia dell'Italia unita, un episodio simile, quello cioè di una mente superiore – perché tale era indubitabilmente Majorana – che rifiuta in piena coscienza ogni possibile onore e successo, sentendo la necessità di sottrarsi alla società. Perché, come disse il capo della polizia dell'epoca Arturo Bocchini – incaricato da Mussolini in persona di ritrovare il fisico scomparso - “i morti si trovano, sono i vivi che possono scomparire”.
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Commenti
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Sono d'accordo con Emilio: Sciascia va letto... Soprattutto in questo periodo di crisi che viviamo...
Quanto alle sue affermazioni sui siciliani, Cristina, non credo che dietro quelle parole - anche se viene usato il termine "cosca" - ci si riferisca per forza, e sempre, alla mafia. Io, che siciliano non sono ma che ne conosco vari, ritrovo una certa verità in quelle parole: riconosco ai siciliani che ho conosciuto una certa riservatezza, che mi ha personalmente ricordato nobiltà. Ma il discorso sarebbe molto lungo, e più adatto a un sito di sociologia...
Sei stato fortunato nei tuoi incontri, io di persone nobili non ne conosco tante :-)
Un libro può fornire vari spunti di riflessione, la mia discussione non è tanto off topic dai :-)
Per Cristina:
A parte gli scherzi, resto convinto che in quella frase di Sciascia da te sottolineata il termine cosca, ravvicinato al termine gruppo, stia ad indicare il gruppo nella sua accezione negativa, ma non il gruppo "mafioso". Quel che Sciascia vuole dire, secondo me, è che la tendenza a vedersi come componente di un gruppo, se prevale, non "fa" il siciliano: è una attitudine molto più presente in altre "razze", se mi passi il termine. Nessuno ha sempre ragione, nemmeno Sciascia: però, in questo caso, ci vedo un grosso fondo di verità.
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è l'unico libro di Sciascia che ho letto, ma sono passati talmente tanti anni che non lo ricordo bene, mi ha fatto piacere così leggere la tua recensione