Dettagli Recensione
Venuto al mondo di Margaret Mazzantini
Sono la 123° a dire la mia su questo libro, che ha letteralmente spopolato e la cosa mi mette un po’ a disagio, ma ci tengo a farlo. Voglio dire che amo lo stile di questa scrittrice e il modo in cui sonda l’animo umano, per cui per quanto riguarda stile e classe, niente da eccepire. Per quanto riguarda la trama: molto bella, soprattutto per il finale per niente scontato; però, a mio parere, si potrebbero tranquillamente togliere 150-200 pagine, perché troppo prolisso. Non ho mai amato i libri troppo “pesi”, perché spesso è solo un arricchire dei fatti che potrebbero essere raccontati in modo più semplice e meno ridondante. Detto questo, in questo romanzo, premio Campiello 2009, si trattano due temi principali: quello della guerra (trattato in modo preciso ed esauriente) e quello della maternità: cercata, negata e “guadagnata”, se intesa come genitorialità (io ho sempre pensato che i figli siano di chi li cresce, non di chi li mette a mondo!)
Si parla di una città in guerra (Sarajevo), dove la morte fa da protagonista, dove i cecchini perdono il senso della vita (come succede in ogni guerra) e dove le persone perdono sé stesse. Una guerra molto vicina a noi geograficamente, ma che noi italiani abbiamo “sentito” molto poco. A poche centinaia di chilometri da noi migliaia di persone venivano uccise, migliaia di donne violentate nel corpo, ma soprattutto nell’anima e la maggior parte di noi ha continuato la propria vita tranquillamente, senza muovere un dito per aiutarli. Una città in guerra, dove la morte fa da protagonista, ma che dalle ceneri estrae un dono molto prezioso per Gemma (la protagonista del romanzo): il figlio tanto desiderato, che l’ Italia le aveva negato. Questa città in lotta ha ucciso migliaia di vite, ma ha dato alla protagonista la vita che lei desiderava di più a mondo: quella del suo bambino. A questo punto non voglio parlare dell’eticità o meno della scelta che Gemma e Diego (il marito) fanno, perché solo una donna a cui la maternità viene negata più e più volte, può capire la sofferenza atroce che prova la protagonista. Io, che ho avuto mio figlio subito, nel momento in cui l’ho desiderato con tutta me stessa, stento a capire cosa possa significare non riuscire ad averlo, in nessun modo. Non capisco, però, la scelta di Gemma di voler spingere il proprio marito nelle braccia di un’altra donna, con il rischio che lui si possa innamorare di lei e lasciarla: la ritengo una crudeltà inutile verso sé stessa. Quello che ho amato moltissimo è il modo in cui Margaret Mazzantini scrive, senza dosare le parole, né i sentimenti, donandosi completamente al lettore, senza filtri, solo come una donna vera può fare, senza nessun timore di quello che i lettori possano pensare. Ci tengo, comunque, a dire che al contrario di molti altri lettori, ho apprezzato molto questo libro, ma gli ho preferito “ Nessuno si salva da solo” della stessa autrice: più sulle mie corde.
Ora, come sempre, vorrei scrivere alcune espressioni o frasi che mi sono piaciute:
“La speranza appartiene ai figli. Noi adulti abbiamo già sperato, e quasi sempre abbiamo perso”;
“I miei occhi in un attimo bruciano i contorni di quella carne. E mi sembra si sentirgli l’anima, ecco tutto”;
“Ha quelle dita lunghe intrecciate alle mie che mi stringono… mi parlano, mi giurano tutto”;
“…ho cercato suo padre dentro di lui, affannosamente, ogni giorno della sua vita”;
“Il mondo mi sembrava saturo di tutto. Gli amori erano, come il resto, cancerosi di nostalgia ma svelti nel consumo. Era da fessi crederci”;
“…una vita valida non ha bisogno di verità a tutti i costi. Basta tirarsi indietro, voltarsi altrove, …sacrificare qualche sguardo autentico, per andare avanti discretamente”;
“Le donne per lui sono piccoli orchi, leccornie per palati più arditi;
“Ci sono cose. Piccole cose che non dimenticherò, che sono niente e invece restano più forti di tutto”;
“Devo arrendermi all’idea che i figli nascono come l’erba, dove capita, dove il vento spinge i semi”;
“Mi prende uno schifo per tutto il sesso del mondo, per quel ficcare e ficcare fino alla morte, per quel cercare buchi”;
“Invecchiando si può di colpo diventare avari di sé stessi, aridi con il mondo, perché niente ci ha davvero ricompensati”;
“La verità è che ho scelto, e Diego lo sa. Non me ne sarei mai andata a mani vote. Ma adesso ho questo pacco da consegnare al mondo. Mi sto portando via la parte migliore di lui, la vita nuova, quella che nessun dolore ha sporcato”;
“Ha sempre fame, questo bambino di Sarajevo, la fame della sua origine miserabile”;
“Mi aveva dato quello che volevo, il bambino era il prezzo per la sua libertà”;
“Suo padre diceva che la nuca conserva l’odore della nascita, del vento che ha portato il seme”;
“Non ha mosso un dito per difenderla, è indietreggiato per non vedere, si è schiacciato le orecchie con le mani per non sentire le urla”;
“Anche lui ha paura che quel male non possa filiare che male. Però è pronto a rischiare. Forse il bambino sarà la ricompensa”;
“Giuliano si china, resta lì ad annusargli la nuca. Come l’ultimo cane, come l’ultimo padre”.
Indicazioni utili
La luce sugli oceani